Con la sentenza n. 141 del 10 gennaio 2006 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite interviene sulla questione di attribuzione dell’onere della prova relativo alle dimensioni aziendali nei giudizi di opposizione al licenziamento, attribuendo tale onere al datore di lavoro.
Ed infatti, in tema di ingiusto licenziamento, le dimensioni aziendali rivestono fondamentale importanza in quanto solo le imprese con più di quindici prestatori di lavoro (o più di cinque in caso di imprenditore agricolo) hanno l’obbligo di reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato nel posto di lavoro occupato, mentre per le aziende di dimensioni inferiori vi è solo l’obbligo di corrispondere al lavoratore il risarcimento del danno. Inoltre, anche nel caso in cui il lavoratore non intenda essere reintegrato nel posto di lavoro, il risarcimento del danno previsto dalla legge è molto differente a seconda che il datore di lavoro conti alle proprie dipendenze più o meno di quindici prestatori d’opera.
Al riguardo, l’articolo 18 della Legge n. 300/1970, modificato dalla Legge n. 108/1990, prevede che il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto.
Le Sezioni Unite, dopo aver esaminato la posizione attuale della giurisprudenza in merito, che di fatto impone al lavoratore che agisce in giudizio di dare prova delle dimensioni aziendali, ha sostenuto al contrario che in tema di riparto dell’onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l’invalidità, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. Con l’assolvimento di quest’onere probatorio il datore dimostra – ai sensi della disposizione generale di cui all’art. 1218 cod. civ. – che l’inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto di lavoro non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il rimedio esercitato dal lavoratore al risarcimento pecuniario. L’individuazione di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue, inoltre, la finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della “disponibilità” dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa.
Pubblicato su QN-Economia & Politica – Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino
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