Gruppo d’impresa e vantaggi compensativi

La sentenza n. 26325 del 11/12/2006 della I Sezione della Corte di Cassazione ha delineato alcuni aspetti importanti relativamente al tema dei cd. vantaggi compensativi nei rapporti tra società controllate e società controllante.
In realtà tale pronuncia ribadisce e precisa quanto già era stato affrontato dalla stessa Corte con la sentenza n. 16707 del 2004, in cui si affermava la necessità, anzi dovremmo meglio dire l’ onere da parte degli amministratori di Società di capitali di allegare e provare gli eventuali benefici, anche indiretti, arrecati al Gruppo di imprese dalla condotta degli stessi amministratori ed affermava, inoltre, l’idoneità di tali eventuali benefici a compensare in maniera efficace gli effetti negativi delle operazioni compiute in danno della Società controllata.
Certamente è vero che non essendo semplice la dimostrazione di quanto detto, il rischio di responsabilità nei confronti della Società, diventa reale e concreto, ma è altresì vero che in mancanza di una esaustiva normativa in materia, l’unico modo per giustificare l’operato dell’organo amministrativo resta la verifica effettiva e concreta, da effettuarsi su ampia scala, del rapporto tra i benefici ed i danni che l’azione degli amministratori abbiano potuto o possano causare.
Ed è proprio su questo punto che la Suprema Corte proprio con la sentenza n. 26325 del 2006 si preoccupa, tra l’altro, di confermare il carattere “neutralizzante” dei vantaggi compensativi nei confronti di pregiudizi arrecati alla Società controllata dagli amministratori, non discostandosi, peraltro, dal novellato art. 2497 c.c..
Se è vero, infatti, che l’amministratore non può non perseguire l’interesse particolare della Società per la quale è preposto, ciò non toglie che diventi necessaria, allo stesso tempo, la valutazione dell’eventuale beneficio che può derivare a tutto il Gruppo.
Una valutazione, certo che dovrà necessariamente basarsi, come chiaramente dice la Corte, sulla connessione tra i benefici ipotizzati ed i reali vantaggi complessivi, ottenuti dal Gruppo; vantaggi tra l’altro che dovranno essere idonei a compensare l’eventuale immediato effetto negativo dell’operazione compiuta.
E proprio, vista la delicatezza dei rapporti che vengono in considerazione, (non dimentichiamo infatti che quando parliamo di Gruppo di imprese, ci riferiamo ad una moltitudine di soci, di terzi creditori etc.) la Suprema Corte, a mio avviso nella Sentenza 26325/2006 ha voluto ribadire con più forza, confermando il suo orientamento, che il giudizio sulla valutazione dell’esistenza concreta di un eventuale pregiudizio arrecato alla società controllata, va effettuato nel suo complesso.
Si legge, infatti, nella sentenza:
“…nel valutare se un siffatto pregiudizio in concreto sussista, è doveroso tener conto che la conduzione di un’impresa di regola non si estrinseca nel compimento di singole operazioni, ciascuna distaccata dalla precedente, bensì nella realizzazione di strategie economiche destinate spesso a prender forma e ad assumere significato nel tempo attraverso una molteplicità di atti e di comportamenti. Sicché è perfettamente logico che anche la valutazione di quel che potenzialmente giova, o invece pregiudica, l’interesse della società non possa prescindere da una visione generale: visione in cui si abbia riguardo non soltanto all’effetto patrimoniale immediatamente negativo di un determinato atto di gestione, ma altresì agli eventuali riflessi positivi che ne siano eventualmente derivati in conseguenza della partecipazione della singola società ai vantaggi che quell’atto abbia arrecato al gruppo di appartenenza”.
Tra l’altro leggendo attentamente detta pronuncia alla luce dell’art. 2497 c.c., ben si comprende come l’indirizzo della Suprema Corte coincida perfettamente con la norma. Sembra quasi volerne chiarire il contenuto, soprattutto della parte finale del I comma, laddove il legislatore ha previsto l’assenza di responsabilità dell’amministrazione “quando il danno risulti mancante alla luce del risultato complessivo”.
Pertanto, si può, a mio avviso considerare questa sentenza come un tentativo di dare corso alla concezione, che alcuni in dottrina sostengono, che il Gruppo può, ed in alcuni casi deve, essere considerato nella sua unitarietà (ferme restando le autonomie certamente intoccabili delle singole società che lo compongono) e che questo concetto dovrà senza dubbio in futuro essere approfondito, ma dal legislatore.

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