Una recente sentenza del Tribunale di Salerno inquadra l’attività subacquea come attività pericolosa
(ai sensi dell’art. 2050 c.c.) e, per l’effetto, condanna il proprietario/armatore dell’imbarcazione con equipaggio noleggiata per lo svolgimento di un’escursione subacquea al risarcimento dei danni subiti dal subacqueo scivolato mentre si recava a poppa dell’imbarcazione a causa della presenza di acqua sul fondo e della mancanza di misure di sicurezza antiscivolo. (Sentenza n. 677/2015 del 13/2/15 – Giudice Fiorillo)
Interessante è l’argomentazione posta a fondamento dell’inquadramento dell’attività subacquea quale attività pericolosa.
Il Giudice ha infatti rilevato che, in mancanza di una tipizzazione legislativa delle attività pericolose, la giurisprudenza ha nel tempo ritenuto pericolose – oltre alle attività previste nell’art. 46 ss. T.U. delle leggi di pubblica sicurezza e alle attività prese in considerazione per la prevenzione degli infortuni o la tutela dell’incolumità pubblica – anche tutte quelle altre attività che, pur non specificate o disciplinate, abbiano tuttavia una pericolosità intrinseca o comunque dipendente dalle modalità di esercizio o dai mezzi di lavoro impiegati. In tal senso, devono ritenersi costituire attività pericolose quelle che comportano la rilevante possibilità del verificarsi del danno, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati.
Tali argomentazioni sono state spesso utilizzate nell’ambito di procedimenti concernenti l’attività subacquea al fine di ricondurla nell’ambito di applicazione dell’art. 2050 cod. civ., che disciplina la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ponendo una prova particolarmente gravosa a carico degli esercenti tali attività in caso di danno.
Prevede infatti il citato articolo che “chiunque cagiona un danno ad altri nello svolgimento di una attività pericolosa, per sua natura o per natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.”
Sempre in base alla oramai consolidata giurisprudenza sul punto, per non incorrere in responsabilità all’esercente l’attività pericolosa non basta la prova di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o comunque di prudenza, ma occorre che provi di aver adottato tutte le misure offerte dalla tecnica e a propria disposizione secondo le circostanze del caso.
Non solo. Nell’ambito dell’applicabilità della norma, possono inquadrarsi anche gli eventi collegati ad un comportamento omissivo, a condizione che si tratti di omissione qualificata, come accade quando il soggetto non adotti le misure preventive rispetto al verificarsi dei danni alle quali sia tenuto per legge o per contratto.
Nel caso in esame il Giudice, dopo aver qualificato l’attività subacquea come attività pericolosa, ha ritenuto che l’armatore convenuto non avesse provato di aver utilizzato tutte le misure necessarie a prevenire eventuali rischi o pericoli, ed in particolar modo ha accertato l’assenza di qualsiasi rimedio antiscivolo o di qualsiasi altro rimedio idoneo ad evitare scivolate o cadute nella zona destinata allo sbarco.
Ciò è stato sufficiente a ritenere l’armatore responsabile dei danni da caduta riportati dal subacqueo ed a condannarlo, di conseguenza, al loro risarcimento.
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