Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro termini precisi. Ecco entro quanti giorni si deve opporre il lavoratore licenziato.
L’art. 6 della L. n. 604/1966 come novellato, prima, dall’art. 32 L. n.183/2010, poi, dall’art.1 L. n. 92/2012, prevede che “il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.”
Il lavoratore che vuole impugnare il licenziamento dovrà, quindi, osservare, i seguenti termini: quello di 60 giorni “dalla ricezione della comunicazione in forma scritta – del licenziamento – ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale” e quello di 180 giorni.
Al riguardo, si rileva come la novella legislativa abbia lasciato irrisolta la questione concernente l’individuazione del momento di decorrenza del termine per impugnare, in via giudiziale, il recesso del datore di lavoro. Le tesi interpretative prospettate sono state diverse: da una parte, si riteneva che il dies a quo per il computo dei 180 giorni andasse identificato con la spedizione dell’atto stragiudiziale da parte del lavoratore oppure con la ricezione dello stesso da parte del datore di lavoro ovvero con la scadenza del termine di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale.
Secondo i Giudici della Suprema Corte (Cass. Lav. n.20068/2015) “l’impugnazione del licenziamento, così come legislativamente strutturata a seguito dell’ultimo intervento di riforma, costituisce una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell’atto di impugnativa vero e proprio. La norma non prevede infatti la perdita di efficacia di un’impugnazione già perfezionatasi (dunque già pervenuta al destinatario) per effetto della successiva intempestiva attivazione dell’impugnante in sede contenziosa, ma impone un doppio termine di decadenza affinché l’impugnazione stessa sia in sé efficace. La locuzione “L’impugnazione è inefficace se …” sta infatti ad indicare che, indipendentemente dal suo perfezionamento (e quindi dai tempi in cui lo stesso si realizza con la ricezione dell’atto da parte del destinatario), il lavoratore deve attivarsi, nel termine indicato, per promuovere il giudizio. II primo termine si avrà per rispettato ove l’impugnazione sia trasmessa entro 60 giorni dalla ricezione degli atti indicati da parte del lavoratore, il quale quindi, da tale momento, avendo assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore, sempre imposta a pena di decadenza, di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato”.
In conclusione, il termine entro cui, a pena di inefficacia dell’impugnazione del licenziamento, deve essere eseguito il deposito del ricorso nella cancelleria del Tribunale in funzione di giudice del lavoro decorre dalla data di spedizione dell’impugnativa stragiudiziale (ossia, dall’invio della lettera di impugnazione del licenziamento).
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