San Valentino è appena passato e le malelingue hanno spesso detto “se vi amate davvero scambiatevi le password dei cellulari e vedremo se sarete ancora insieme a fine giornata”. A quanto pare però c’è chi non ha bisogno del permesso o della password fornita dal proprietario del telefono per accedere ai suoi dati personali.
La Cassazione ha infatti condannato due uomini per accesso abusivo al profilo dell’ex partner: nell’era delle tecnologie, anche i giudici di legittimità devono adeguarsi e tutelare i nuovi diritti che vengono violati.
L’uomo che ha effettuato un accesso abusivo al profilo dell’ex fidanzata
Nel caso in esame la Corte d’appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato un uomo responsabile dei reati di accesso abusivo a un sistema informatico ex art. 615 ter c.p. (entrando abusivamente nel profilo Facebook e nella posta elettronica, modificando le password ed impedendo alla titolare di accedervi) e di sostituzione di persona ex art. 494 c.p. (perché, al fine di creare un danno alla titolare – la ex fidanzata – ha sostituito illegittimamente la propria persona a quella della titolare, creando e fomentando discussioni ingiuriose nei confronti di altre persone.
L’uomo è stato condannato dalla Corte d’Appello alla pena ritenuta congrua per i fatti oggetto di giudizio nonché al risarcimento dei danni in favore della ex fidanzata “hackerata”.
L’uomo proponeva ricorso in Cassazione avverso detta sentenza ma la Suprema Corte con sentenza n. 2942 del 22 gennaio 2019 respingeva il ricorso, con condanna alle spese a carico del ricorrente, sulla base delle seguenti motivazioni.
La Corte di Cassazione ha riconosciuto l’accurato operato della Corte d’Appello nella ricostruzione dei fatti, concordando con quanto da essa affermato, in particolare con la dichiarazione secondo cui, a seguito dell’accesso abusivo da parte dell’uomo, l’offesa subita dalla ex fidanzata non può dirsi tenue in considerazione delle complesse modalità dell’azione e del protrarsi della condotta tenuta dall’imputato (proseguita anche nei mesi successivi alla denuncia).
Accesso abusivo anche per l’uomo che entra nel profilo della moglie
La Corte d’appello di Palermo ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 615 ter c.p. nei confronti di un uomo che ha effettuato un accesso abusivo al profilo Facebook della moglie grazie al nome utente ed alla password utilizzata da quest’ultima, a lui noti da prima che la loro relazione si incrinasse.
L’uomo aveva anche fotografato una chat della moglie con un altro uomo, modificando successivamente la password per impedirle di accedere al social.
Contro detta sentenza l’uomo proponeva ricorso in Cassazione ma la Suprema Corte con sentenza n. 2905 del 22 gennaio 2019 lo rigettava, con condanna alle spese poste a carico del ricorrente, in forza della seguente motivazione.
Il fatto che la donna, in passato, avesse autorizzato l’accesso all’uomo non esclude comunque il carattere abusivo degli accessi al profilo della donna.
Il reato di accesso abusivo
In entrambi i casi appena citati, gli uomini sono stati condannati per l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (in questo caso ai profili Facebook delle donne ed all’indirizzo di posta elettronica), in base all’art. 615 ter del codice penale. Tale disposizione al 1° comma stabilisce che «Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni».
Per una consulenza legale: info@iltuolegale.it – 02 94088188
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato.