WhatsApp e l’avviso della presenza delle forze dell’ordine: reato?

Nell’epoca di internet, dei social e degli smartphone la comunicazione ha assunto una forma diversa, utilizzando strumenti e metodi completamente differenti rispetto al passato. WhatsApp (con le sue chat ed i suoi gruppi), Facebook (con gruppi aperti, chiusi ed addirittura segreti) e tutti gli altri social, sono ormai il canale preferenziale per esprimere, informare ed avvisare. Ma si può sempre fare?

whatsapp

L’avviso della presenza delle forze dell’ordine tramite WhatsApp

Capita spesso, soprattutto nelle piccole realtà, che su WhatsApp vengano creati gruppi nei quali scambiarsi informazioni utili circa movimenti sospetti, furti, notizie che possono interessare gli abitanti di una determinata zona. Alle volte gli stessi appartenenti alle forze dell’ordine hanno gruppi informali mediante i quali ricevono dette segnalazioni, a beneficio di tutti.

Il caso di Agrigento

Ad Agrigento però WhatsApp si è rivelata un’arma a doppio taglio: gli investigatori della Polizia di Agrigento, infatti, hanno denunciato 62 persone appartenenti ad un gruppo WhatApp nel quale i componenti si avvertivano della presenza delle postazioni delle forze dell’ordine, le quali lo hanno definito come “un sistema efficace che finiva per vanificare il buon esito del controllo del territorio intrapreso. Da qui la contestazione dell’ipotesi di interruzione di pubblico servizio”.

La scoperta (e la successiva denuncia) dell’illecito gruppo WhatsApp non è il risultato di un’indagine, ma di un fortuito susseguirsi di eventi: a seguito del semplice ritrovamento di uno smartphone le forze dell’ordine hanno poi casualmente scoperto il gruppo organizzato. I componenti del gruppo divulgavano messaggi segnalando i luoghi in cui erano in corso controllo di polizia, rendendo in tal modo vane le attività svolte dalle forze dell’ordine.

Il reato ipotizzato

Il reato ipotizzato in capo ai membri del gruppo è quello di interruzione di pubblico servizio, che in base all’art. 340 c.p., si configura quando si “cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità.  Il reato è punito con la reclusione fino ad un anno per i semplici membri del gruppo e fino a cinque anni per i promotori od organizzativi della turbativa. La Cassazione con sentenza n. 1899/1997 ha stabilito che occorre dimostrare proprio che ci sono state conseguenze sulla regolarità del servizio delle autorità competenti (in questo caso intralciate dalle comunicazioni fatte circolare sui gruppi WhatsApp).

In passato questo tipo di reato poteva essere configurato in capo a chi “faceva i lampeggianti” alle macchine provenienti dal senso opposto di marcia, segnale con il quale si comunicava la presenza di un posto di blocco poco avanti. Oggi, modificata la comunicazione, il reato rimane lo stesso.

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