Commette violenza privata chi parcheggia l’auto senza far passare gli altri condomini

Un uomo è stato condannato in quanto autore di violenza privata dopo aver lascito l’auto parcheggiata in modo da impedire agli altri condomini di passare. 

violenza privata

Il caso della violenza privata di un parcheggio

La Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza del 15/07/2015 con la quale il Tribunale di Matera aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato di violenza privata condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

L’imputato si sarebbe rifiutato di rimuovere l’auto parcheggiata all’ingresso di un cortile in uso anche a un altro condomino, così impedendo a quest’ultimo di accedervi e di prelevare gli attrezzi di sua proprietà lì depositati.

L’imputato ha così proposto ricorso per cassazione denunciando 2 vizi: il primo relativo all’inosservanza della legge, vizi di motivazione in ordine all’inutilizzabilità della dichiarazioni auto-accusatorie rese dall’imputato alla polizia giudiziaria. Il secondo relativo all’inosservanza della legge penale, in quanto il rifiuto addebitabile all’imputato non è equiparabile alla violenza o alla minaccia richieste per l’integrazione del reato, laddove i benefici invocati sono stati negati sulla base di mere asserzioni del giudice di appello.

Il processo in Cassazione

Il primo motivo è ritenuto inammissibile perché l’imputato avrebbe dovuto indicare specificatamente gli atti affetti dal vizio. Inoltre, la Cassazione richiama non solo la testimonianza dell’operante della polizia giudiziaria intervenuto sul posto, ma anche la deposizione dibattimentale della persona offesa.

Per quanto riguarda il secondo vizio, i giudici di legittimità specificano inoltre che “Integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione”. Pertanto anche questo secondo motivo è ritenuto infondato.

La decisione dei giudici: è violenza privata

La Cassazione ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate in Euro 2.000 oltre accessori di legge.

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