Avvocato sospeso correttamente: così la Corte di Cassazione, con sentenza 34476/2019 ha confermato la pena della sospensione della professione nei confronti di un avvocato ritenuto responsabile di aver percepito compensi da una propria assistita, senza rilasciare la necessaria fattura e senza averne effettivamente tutelato gli interessi.
Le accuse all’avvocato
Il Consiglio dell’Ordine di Perugia ha deliberato l’apertura di un procedimento disciplinare verso un avvocato ritenuto responsabile di aver violato gli articoli 7 e 38 del codice deontologico, tenendo un comportamento contrario al dovere di fedeltà nello svolgimento della propria attività professionale e contrario agli interessi della propria assistita. L’avvocato non ha infatti provveduto ad iniziare alcuna azione nei confronti della controparte dell’assistita, che si era rivolta a lei per agire in giudizio contro la società datrice di lavoro per il mancato versamento degli stipendi e dell’indennità di maternità.
Accusata di non aver assistito la cliente
La professionista aveva costantemente rassicurato la propria cliente sull’andamento della pratica, rappresentandole una situazione non corrispondente al vero, dal momento che nessun accordo con la controparte era stato raggiunto, né alcun tentativo di conciliazione, causa o ricorso erano stati avviati, con conseguente pregiudizio dei diritti facenti capo alla cliente, pur avendo percepito da quest’ultima 1.317 euro per la prestazione professionale non eseguita.
Accusata di non aver emesso fattura
L’avvocato ha inoltre violato l’art. 15 del codice deontologico, percependo compensi omettendo la fatturazione delle somme di denaro ricevute in contanti. Nonostante quanto affermato dalla ricorrente, la stessa non è infatti stata in grado di fornire alcuna documentazione sulla fatturazione emessa per il compenso percepito.
Accusata di aver esercitato abusivamente la professione
Infine, l’avvocato avrebbe esercitato abusivamente la professione nonostante la sospensione cautelare a tempo indeterminato adottata dal consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia, senza neppure comunicare questa scomoda decisione alla cliente.
Per questi tre motivi l’Ordine degli Avvocati di Perugia ha deciso di sospendere l’avvocato per un anno dalla professione.
L’avvocato sospeso ricorre al Consiglio Nazionale Forense
L’avvocato sospeso ha presentato ricorso al Consiglio Nazionale Forense (CNF) che, però, ha lo ha subito rigettato dichiarandolo inammissibile e infondato poiché basato esclusivamente su deposizioni testimoniali di soggetti la cui attendibilità non è stata accertata da altre prove. L’atto sarebbe privo dei requisiti per l’impugnazione poiché l’avvocato non avrebbe indicato né le parti della decisione del consiglio distrettuale di disciplina dell’Umbria che si intendeva impugnare, né gli errori commessi.
L’ultimo tentativo per l’avvocato sospeso: il ricorso in Cassazione
Dopo non aver ottenuto l’esito sperato al Consiglio Nazionale Forense, l’avvocato ha deciso di presentare ricorso in Cassazione che con sentenza n. 34476/19 lo h rigettato ritenendolo fondato solo in parte, inammissibile per il resto.
Primo motivo fondato
In particolare: è fondato il primo motivo in quanto il ricorso al Consiglio nazionale forense è stato formulato nel rispetto della prescrizione formale, con l’indicazione dei motivi specifici a norma dell’art. 59 del regio decreto n. 37/34, richiamato dall’art. 36, comma 2, della legge n.247/12, in quanto “al ricorso proposto innanzi al CNF avverso la decisione disciplinare emessa dal Consiglio distrettuale di disciplina non può ritenersi applicabile in via immediata e diretta, il disposto dell’art. 342 c.p.c., come affermato dalla sentenza impugnata”.
Infondati gli altri due motivi
Gli altri due motivi di impugnazione sono invece ritenuti inammissibili. La sentenza impugnata ha convalidato sulla base della valutazione delle risultanze probatorie acquisite, il giudizio del collegio territoriale circa il disvalore deontologico della condotta dell’appellante: la sospensione è corretta per aver l’avvocato tenuto, nello svolgimento della propria attività professionale, “una condotta contraria al dovere di fedeltà, oltreché agli interessi della propria assistita, non avendo iniziato nei confronti del datore di lavoro (…) s.r.l., alcuna azione, al fine di ottenere il pagamento della retribuzione maturata, rassicurando la cliente circa il buon esito di accordi, in realtà mai esistiti; per avere richiesto il versamento di somme in contanti, con l’intento di incamerarle senza emettere regolare fatturazione; per avere omesso di informare l’assistita della sua sospensione dall’esercizio della professione a tempo indeterminato.”
Per tutti questi motivi la Suprema Corte decide di rigettare l’appello della ricorrente, confermando la sospensione per un anno nei suoi confronti basata sui comportamenti deontologicamente scorretti assunti dall’avvocato nei confronti della cliente.
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