In un video diventato virale un uomo ha dato il suo rifiuto di farsi identificare dalle forze dell’ordine. Vediamo quali sono le conseguenze.
Rifiuto di farsi identificare da forze dell’ordine: si rischia una condanna penale
Colui che nel corso di un controllo da parte delle Forze dell’Ordine (magari finalizzato al rispetto delle misure di contenimento della circolazione delle persone ancora in vigore in questi giorni) si rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale rischia di essere sottoposto ad un procedimento penale.
Infatti, detta condotta configura il reato di cui all’art. 651 c.p. che prevede la pena dell’arresto fino ad un mese o dell’ammenda fino ad Euro 206,00.
Quali sono in questi casi i poteri delle Forze dell’Ordine
Qualora si verifichi una situazione del genere – simile a quella documentata dal video postato su internet – di fronte ad un atteggiamento ostile e non collaborativo da parte della persona sottoposta a controllo, le Forze dell’Ordine sono tenute ad accertare le generalità del soggetto.
Potrebbe infatti trattarsi non solo di chi cerca così di evitare la sanzione amministrativa prevista dalle attuali misure anti contagio, ma anche di un ricercato, di un soggetto evaso dagli arresti domiciliari ecc.
Pertanto, la legge consente alla polizia giudiziaria, nel caso di rifiuto all’identificazione, l’accompagnamento coattivo del soggetto in caserma ed il trattenimento per il tempo strettamente necessario per la sua identificazione (non oltre 12 ore e comunque – previo avviso anche orale al Pubblico Ministero – 24 ore nel caso in cui detta identificazione risulti particolarmente complessa).
Un’interessante sentenza della Cassazione
Sul punto si è appena pronunciata la Suprema Corte con la sentenza 20/01/20 n. 2021 la quale, occupandosi di un caso di mancata esibizione ai Carabinieri del documento di identità richiesto durante un controllo, offre uno spunto per riflettere sulle caratteristiche che il comportamento deve avere per integrare il reato di cui all’art. 651 c.p.
Infatti, secondo quanto riferito dal Carabiniere operante in quella circostanza, l’imputato (già conosciuto dalle Forze dell’Ordine) si era dato alla fuga, non ottemperando alla sola richiesta di esibizione del documento di riconoscimento e non all’obbligo di declinare le proprie generalità, mai domandate dal Carabiniere.
In questi casi, rileva la Corte, non viene integrato il reato di cui all’art. 651 c.p. ma semmai quello di cui all’art. 4 del R.D. 773/31 (Testo Unico Pubblica Sicurezza) e dell’art. 294 del relativo regolamento che concede alle autorità di pubblica sicurezza di ordinare alle persone pericolose o sospette di munirsi di carta di identità e di esibirla a loro richiesta.
Infatti, l’imputato, dandosi alla fuga, aveva violato il solo ordine di esibizione della carta di identità e non a quello di fornire le proprie generalità, mai avanzato dal Carabiniere, in ragione della conoscenza diretta del fermato.
Se tale pregressa conoscenza da parte del pubblico ufficiale aveva consentito comunque l’avvio del procedimento penale conclusosi con una condanna in primo grado per il reato di cui all’art. 651 c.p., la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso della difesa dell’imputato, annullava detta sentenza in quanto la condotta tipica non era stata realizzata da quest’ultimo.
Un conto, infatti, è il rifiuto a dare le proprie generalità alle Forze dell’Ordine, mentre cosa diversa è non consentirne la loro verifica attraverso l’esibizione di un documento di riconoscimento.
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