Il reato di circonvenzione dincapace è previsto e punito dallart. 643 del c.p.
Le persone legalmente capaci (cioè i maggiorenni e i non interdetti) sono normalmente in grado di provvedere a se stesse tuttavia talvolta può accadere che il soggetto non sia in grado di valutare adeguatamente le conseguenze degli atti che compie.
In questi casi si sostiene che il soggetto è affetto da incapacità naturale o di fatto (art. 428 c.c.).
L’atto compiuto dall’incapace è un atto esistente fino a quando non interviene un provvedimento giudiziario in grado di porlo nel nulla con effetto retroattivo (cioè da quando latto venne compiuto).
Al giorno doggi, l allungamento della vita media dellindividuo ha comportato un notevole aumento numerico della popolazione anziana, ma a questa maggior durata di vita spesso non si accompagna un parallelo miglioramento delle condizioni di salute.
Soggetti passivi del reato non sono solo gli anziani ma tutti coloro che versano in uno stato dincapacità effettiva (sia essa transitoria o permanente) come il malato grave, il drogato, lubriaco, lipnotizzato,ecc..
Ciò che conta, affinché lincapacità assuma rilevanza, è il momento in cui un atto giuridico sia stato posto in essere.
Nel caso della c.d. circonvenzione lo stato dincapacità viene dolosamente usato da un soggetto terzo.
Deve precisarsi che la condotta tipica del reato di cui all’art. 643 c.p. consiste nell’abusare dello stato di minorazione del soggetto passivo e nell’indurre quest’ultimo a compiere un atto che comporti un effetto dannoso, per lui o per altri. La giurisprudenza ha precisato che con il termine abuso sintende una condotta di approfittamento ovvero di strumentalizzazione dello stato di debolezza della vittima. Tuttavia, la norma non specifica le modalità di una tale condotta, per cui si ritiene che qualsiasi pressione morale – anche se blanda – possa essere sufficiente ad integrare l’abuso, qualora si riveli idonea allo scopo perseguito, tenuto conto ovviamente delle condizioni della vittima.
D’altra parte, la condotta di induzione deve concretarsi in un’apprezzabile attività di suggestione ovvero, ancora, di pressione morale, finalizzata a determinare la volontà minorata del soggetto passivo e la stessa giurisprudenza precisa che l’induzione può consistere nell’uso di qualsiasi mezzo idoneo a determinare o a rafforzare nel soggetto passivo il consenso al compimento dell’atto dannoso.
Non può escludersi che la circonvenzione possa realizzarsi anche attraverso condotte che implichino l’uso di una violenza morale, cioè di una condotta che si estrinsechi in un atteggiamento di intimidazione del soggetto passivo, in grado di eliminare o ridurre la sua capacità di determinarsi, condizionando la sua già ridotta capacità di agire secondo la propria volontà indipendente.
I passaggi che normalmente configurano lipotesi di reato in argomento sono normalmente tre: linduzione, labuso ed il profitto.
Come prima precisato occorre anzitutto accertare le condizioni fisiche del soggetto al momento della (presunta) circonvenzione.
Poi, per ricadere in ipotesi delittuosa, occorre verificare se il soggetto profittatore abbia agito con dolo cioè nella consapevolezza che il proprio interlocutore versasse in uno stato di minorata difesa psichica e che, forte di ciò, abbia indotto loffeso ad agire persuadendolo e/o suggestionandolo alterando laltrui volere.
Il profitto, secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, deve necessariamente essere patrimoniale (cioè suscettibile di valutazione economica).
Si conclude evidenziando un ulteriore aspetto assai importante: la prova dell’incapacità naturale non deve essere necessariamente riferita alla situazione esistente al momento in cui l’azione delittuosa venne posta in essere dallagente in quanto è doveroso analizzare il quadro generale (anteriore e posteriore) al momento del fatto-reato.
Ed infatti lo stato dincapacità – ove si tratti di situazione non transitoria ma relativamente perdurante quale una malattia – può essere provato anche attraverso il dato induttivo.
L’apprezzamento di tale prova costituisce giudizio riservato al giudice di merito che ha il potere-dovere di valutare liberamente, ai fini del proprio convincimento.
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