Per la Cassazione l’uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito e configura sempre il reato di maltrattamenti in famiglia, non quello di abuso dei mezzi di correzione.
Condannato nei primi due gradi di giudizio per maltrattamenti in famiglia
La Corte d’Appello conferma la sentenza di condanna nei confronti dell’imputato per il reato di maltrattamento in famiglia (art. 572 c.p. che punisce con la pena della reclusione da tre a sette anni chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o un’arte) nei confronti della convivente e delle sue due figlie.
Il ricorso in Cassazione
Dopo gli infruttuosi due tentativi, l’imputato decide di ricorrere in Cassazione presentano due motivi di ricorso:
- Il fatto che la sentenza debba ritenersi viziata essendo basata solo sulle dichiarazioni della persona offesa, risultate in contrasto con le prove acquisite. L’imputato afferma che la donna avrebbe ingigantito nella denuncia i fatti avvenuti;
- In secondo luogo l’imputato lamenta che i fatti di cui è accusato dovrebbero essere ricondotti all’art. 571 c. p., che punisce l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina e che detta “Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi”.
La decisione della Cassazione
Con sentenza 18706/2020 la Cassazione ritiene inammissibile il ricorso. Per quanto riguarda il primo motivo, secondo i giudici di legittimità la ricostruzione che è stata fatta dei maltrattamenti perpetrati dall’imputato nei confronti della famiglia è stata corretta. Inoltre il ricorrente ha riproposto in Cassazione la stessa versione dei fatti già disattesa dai giudici di merito. Il compito della Cassazione non è quello di effettuare una terza valutazione su quanto già dichiarato dall’imputato, ma quello di stabilire se i giudici abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione interpretandoli correttamente: nel caso in esame, i giudici hanno lavorato correttamene.
E’ maltrattamento in famiglia non abuso dei mezzi di correzione
Per quanto riguarda i secondo motivo di ricorso, anch’esso ritenuto inammissibile, la Corte evidenzia come i fatti oggetto del processo riguardino un reiterato ricorso alla violenza, materiale e morale, e ciò è incompatibile con il reato di abuso dei mezzi di correzione, che presuppone l’uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi (in via ordinaria consentiti).
Per la Cassazione, l’elemento differenziale tra i due reati non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall’agente, in quanto l’uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito (Cass. 11956/2017) e configura sempre il reato di maltrattamenti in famiglia. Questi motivi spingono i giudici di legittimità a ritenere inammissibile l’intero ricorso, confermando la condanna dell’imputato per maltrattamenti famigliari.
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