È possibile avviare un’attività di B&B in condominio? Il regolamento condominiale può vietarlo? Esaminiamo una recente sentenza della Cassazione.
B&B in condominio: ultima sentenza della Cassazione
Il tema è attuale ed in continuo divenire. In ordine cronologico, l’ultima ad essersi occupata della questione “B&B in appartamento sì o no?” è la Cassazione con una recente ordinanza di ottobre, la n. 21562/2020, con la quale è espressamente stabilito che, trattandosi di attività imprenditoriale, il regolamento condominiale può vietarla.
Il potere del regolamento condominiale
Per capire se sia o meno possibile aprire un B&B in un appartamento situato in un complesso di appartamenti è necessario andare a studiare il regolamento del condominio che disciplina l’uso delle cose comuni, l’amministrazione e la ripartizione delle spese.
Vi è infatti la possibilità che il regolamento condominiale ponga delle limitazioni alla facoltà d’utilizzo delle singole unità immobiliari.
Che cos’è un B&B?
Il codice del turismo (D.Lgs 79/2011) all’art. 9 individua come strutture ricettive e paralberghiere (come i B&b) tra le altre:
“g) i bed and breakfast organizzati in forma imprenditoriale;
8) I bed and breakfast in forma imprenditoriale sono strutture ricettive a conduzione ed organizzazione familiare, gestite da privati in modo professionale, che forniscono alloggio e prima colazione utilizzando parti della stessa unità immobiliare purché funzionalmente collegate e con spazi familiari condivisi.”
Nel caso in cui il B&B venga esercitato non imprenditorialmente è qualificabile come avente natura extralberghiera.
Le pronunce della Cassazione
La Corte di Cassazione si è concentrata sul punto e con sentenza n.20237/2009 ha stabilito che i divieti d’uso delle unità immobiliari privati devono essere esplicitati con chiarezza nel contratto, limitando il principio della pienezza del diritto di proprietà e, nel caso di attività produttiva, anche il principio costituzionale dettato dall’art. 41 Cost. della libertà d’iniziativa economica.
Con sentenza 21024/2016 la Corte di Cassazione ha affermato che la clausola del regolamento condominiale che limita la destinazione delle unità immobiliari deve essere considerata costitutiva di una servitù atipica, quindi può essere opponibile ad eventuali terzi acquirenti solo ed esclusivamente se risulta esplicitamente nella nota di trascrizione. Non è quindi sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo ma, come stabilito dagli artt. 2659, comma 1, n.2 e art. 2665 c.c., occorre indicare le clausole limitative specifiche.
Pertanto, nel caso in cui manchino le specifiche trascrizioni, queste stesse disposizioni del regolamento valgono solo nei confronti dell’acquirente che ne prende atto in maniera specifica nello stesso atto d’acquisto.
Nella sentenza i giudici di legittimità stabiliscono infatti che “la previsione contenuta in un regolamento condominiale convenzionale di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino, deve essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem, non configurandosi in tal caso il presupposto dell’agere necesse nel soddisfacimento d’un corrispondente interesse creditorio. Pertanto, l’opponibilità ai terzi acquirenti di tali limiti va regolata secondo le norme proprie della servitù, e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, indicando nella nota di trascrizione, ai sensi degli artt. 2659, primo comma, n. 2, e 2665 c.c., le specifiche clausole limitative, non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale“.
Limitazioni del regolamento condominiale: niente B&B se espressamente vietato
Nel 2016 la Cassazione con sentenza 109/2016 si è pronunciata su un regolamento condominiale che prevedeva che “è vietato di destinare gli appartamenti ad uso di qualsivoglia industria o di pubblici uffici, ambulanze, sanatori, gabinetti per la cura di malattie infettive o contagiose, agenzie di pegni, case di alloggio, come pure di concedere in affitto camere vuote od ammobiliate o di farne, comunque un uso contrario al decoro, alla tranquillità, alla decenza ovvero al buon nome del fabbricato”.
In tal caso secondo i giudici di legittimità vige il divieto di adibire l’immobile ad attività ricettiva poiché “ontologicamente l’attività di affittacamere è del tutto sovrapponibile – in contrapposto all’uso abitativo – a quella alberghiera e, pure a quella di bed and breakfast”, attività tutte incompatibili con la destinazione dell’immobile ad uso abitativo.
L’ultimo parere dei giudici di legittimità
In ordine cronologico l’ultima pronuncia è l’Ordinanza della corte di Cassazione n. 21562/2020 del 7 ottobre 2020. La Corte qualifica l’attività di B&B come imprenditoriale commerciale stabilendo che possa essere vietata nel condominio disciplinato dal regolamento di natura contrattuale che la vieti. In sostanza si riconferma che, solo se espressamente negato dal regolamento condominiale, il proprietario non potrà fare del proprio appartamento un B&B.
“Nel caso in esame la corte d’appello aveva dato un’interpretazione estensiva del regolamento condominiale, includendovi l’attività di B&B pure non essendo questa inclusa fra quelle espressamente vietate dal regolamento ed essendo compatibile con l’uso abitativo. Inoltre il divieto di svolgere attività commerciali si deve intendere circoscritto alle attività commerciali espressamente menzionate dalla norma regolamentare (il regolamento condominiale), non essendo ammissibile che le facoltà dei singoli proprietari possano essere compresse o limitate in forza di divieti generici e indeterminati.
Nel regolamento condominiale in questione era espressamente scritto all’art. 28 che: «gli appartamenti potranno essere destinati esclusivamente a civili abitazioni, studi o gabinetti professionali, restando espressamente vietati destinazioni e uso ad esercizio o ufficio industriale o commerciale, a uffici pubblici, dispensari sanatori, case di salute di qualsiasi genere, gabinetti per cure di malattie infettive, contagiose o ripugnanti, ad agenzie di qualunque specie, a ufficio depositi di pompe funebri, a ufficio di collocamento, ristoranti, cinematografi, magazzini, scuole di qualunque specie, chiese, accademie […].».
La Corte di merito ha quindi riconosciuto che il “ divieto di svolgere attività commerciali, posto dal regolamento, si riferiva alle attività suscettibili di essere considerati tali secondo il significato giuridico della espressione, […] il divieto di attività commerciali e i divieti susseguenti sono posti letteralmente sullo stesso piano (restando espressamente vietati destinazioni e uso ad esercizio o ufficio industriale o commerciale, a uffici pubblici, dispensari sanatori, case di salute di qualsiasi genere […]) e che, fra le specifiche attività oggetto di espresso divieto, ve ne sono alcune che non hanno certamente carattere commerciale: uffici pubblici, uffici di collocamento, chiese, accademie”
Affittacamere, un’attività imprenditoriale alberghiera
L’assimilazione dell’attività di affittacamere a quella imprenditoriale alberghiera, proposta dalla corte d’appello, è coerente con la giurisprudenza dalla Cassazione secondo la quale “tale attività, pur differenziandosi da quella alberghiera per sue modeste dimensioni, presenta natura a quest’ultima analoga, comportando, non diversamente da un albergo, un’attività imprenditoriale, un’azienda ed il contatto diretto con il pubblico”.
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