Una vicenda, quella raccontata oggi, che ha suscitato scalpore e che fa molto discutere: è la storia di una coppia che si separa dopo aver fecondato e congelato quattro embrioni. La moglie vuole proseguire alla fecondazione medicalmente assistita mentre il marito si oppone, ma il Tribunale dà l’ok per continuare la gravidanza.
La storia
La ricorrente, insieme al marito (e in accordo con lui) decide di sottoporsi ad un ciclo di fecondazione assistita: successivamente alla fecondazione dell’ovocita la terapia viene interrotta per motivi di salute, poi risolti, con crioconservazione di quattro embrioni che in accordo tra le parti vengono trasportati in un centro specializzato.
Tempo dopo la coppia si separa e il marito rifiuta di prestare il consenso allo scongelamento degli embrioni e al loro impianto.
La moglie chiede di ordinare al centro di procedere all’impianto degli embrioni in utero in via d’urgenza, avendo raggiunto l’età di 42 anni con connessa riduzione delle possibilità di successo.
Il marito, costituitosi in giudizio, oltre a ritenere inammissibile l’adozione del ricorso d’urgenza proposto dalla moglie, nega la sussistenza dei presupposti della sua accoglibilità per assenza dei requisiti soggettivi di accesso alle tecniche di procreazione assistita (p.m.a.), non esistendo più una coppia.
L’uomo solleva dubbi sulla serietà del consenso manifestato dalla ricorrente, ribadendo la revoca del consenso a suo tempo prestato alla procreazione medicalmente assistita.
Il centro che custodisce gli ovuli si costituisce in giudizio, evidenziando come fosse necessario il consenso informato di entrambi i genitori per ogni fase di applicazione delle tecniche, negando quindi nel caso specifico la sussistenza di quei presupposti.
Il ricorso del marito contro la decisione di proseguire con la fecondazione
Il giudice ordina al Centro di procedere all’inserimento in utero degli embrioni crioconservati. Il marito propone allora ricorso contro tale decisione lamentando, tra le altre cose:
- il mancato consenso informato relativo allo scongelamento degli embrioni, considerato che l’art. 6 della legge n.40/2004 prevede che il consenso sia prestato in ogni fase;
- l’assenza dei presupposti soggettivi richiesti dall’art. 5 della legge n.40/2004 con “la conseguenza che l’emesso provvedimento aprirebbe il varco a comportamenti in frode alla legge tesa a offrire al nascituro il diritto, tutelato dall’art. 30 della Costituzione, di fruire e godere della doppia figura genitoriale”;
- la scorrettezza della decisione “perché non rispondente al decisum della Coste Costituzione che non avrebbe mai parlato di un diritto dell’embrione a nascere, limitandosi a dichiarare l’inammissibilità della relativa questione per difetto di rilevanza”.
La legge sulla procreazione medicalmente assistita
I giudici esaminato il caso ricordano che “La legge 40/2004, tutela non solo gli interessi dei privati che accedono alla p.m.a. ma anche gli interessi pubblicistici sottesi alla delicata materia che involge la genesi della vita, di ordine etico e sanitario”. L’art. 1 recita “Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.
Nei lavori preparatori alla legge si parla espressamente di diritto alla vita dell’embrione su cui è costruito l’intero impianto della legge stessa; il concepito si identifica senza dubbio con l’embrione. Le disposizioni in questione danno quindi fondamento al diritto del concepito a nascere previsto all’art. 1.
L’irrevocabilità del consenso successivo alla fecondazione
I giudici ricordano che “L’art. 6 della legge 40/2004 espressamente sancisce l’irrevocabilità del consenso successivamente alla fecondazione e l’art. 8 attribuisce alla volontà manifestata, irrevocabile con la fecondazione, funzione determinativa della maternità, della paternità e dello status di figlio.”
Viene così esclusa, in conformità della ratio della legge la rilevanza e come affermato dal primo giudice, la rilevanza di comportamenti e di eventi successivi alla fecondazione dell’ovulo poiché la libertà di procreare si è esercitata e si è esaurita con la fecondazione. In tal senso viene ammessa la libertà di ripensamento solo fino alla fecondazione medesima.
L’importanza di tutelare l’embrione in quanto nascituro
Per i giudici ad avere maggiore rilevanza è la tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, come dichiarato all’art.1 L 40/2004, ritenendo prevalente il diritto alla vita dell’embrione che potrà essere sacrificato solo a fronte del rischio di lesione di diritti di pari rango ritenuti prevalenti (ad esempio è consentito l’aborto oltre i tre mesi di esistenza del feto nel caso in cui la madre rischi la morte).
Quanto alle asserite problematiche psicologiche che il reclamante subirebbe portando avanti il progetto di filiazione con una donna con la quale non sussiste più un progetto di vita comune, per i giudici “giova osservare che le stesse problematiche possono interessare l’altro genitore per non vedere realizzato il progetto di filiazione nonostante l’affidamento determinato dal consenso e l’avvenuta fecondazione; inoltre, gli interessi delle parti devono bilanciarsi con la tutela dell’aspettativa di vita dell’embrione.”
La decisione sul caso concreto
Secondo il marito (il ricorrente) però il giudice di primo grado non avrebbe dato rilievo ad una serie di elementi importanti per garantire al nascituro il diritto alla famiglia tutelato dall’art. 30 della Costituzione, come l’importante fattore relativo alla separazione dei due coniugi avvenuta dopo la fecondazione.
Esaminando il caso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere stabilisce che “il minore nato da genitori separati avrà diritto di godere di entrambe le figure genitoriali e sia il padre che la madre assumeranno i diritti e gli obblighi connessi alla genitorialità.” Per questo motivo “colui che presta il consenso alla p.m.a. assumerà tutti i diritti e gli obblighi genitoriali”.
“La irrevocabilità del consenso, fissata al momento della fecondazione, diversamente da quanto argomentato dal reclamante, contempera e bilancia la tutela dei delicati interessi coinvolti. Il divieto di revoca del consenso non impone alcun trattamento sanitario non voluto, limitandosi a produrre effetti vincolanti sull’assunzione di genitorialità: questo non contrasterebbe in alcun modo con i principi relativi al consenso informato”.
La madre potrà proseguire con la procreazione medicalmente assistita
Secondo quanto dichiarato dal Tribunale, dunque, l’interpretazione logica impone di ritenere che, ferma la necessità per la struttura di adempiere agli obblighi informativi per ogni fase del trattamento, il consenso dovrà essere rinnovato solo in caso di rilevate problematiche o anomalie del processo.
Ciò posto, il ricorrente ha sottoscritto il consenso presso la clinica dopo aver ricevuto tutte le informazioni previste dalla legge che è divenuto irrevocabile con la fecondazione.
La madre può dunque proseguire allo scongelamento e all’impianto degli embrioni.
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