Risulta interessante verificare brevemente come le recenti modifiche di legge abbiano inciso sulla tutela accordata al consumatore che per finanziare l’acquisto di beni durevoli (es. autovetture, elettrodomestici, componenti di arredo per la casa) abbia concluso un contratto di credito al consumo, ossia quel particolare accordo che consente al consumatore di rateizzare l’importo dovuto verso il soggetto finanziatore, che eroga l’intera somma nei confronti del fornitore-venditore, in forza di una convenzione stipulata con quest’ultimo.
Va osservato infatti, come tali contratti, definiti anche collegati trovassero ingresso per la prima volta nel nostro ordinamento a seguito del recepimento della Direttiva 87/102/Cee, con disposizioni di seguito abrogate e riprodotte all’interno del “Testo Unico Bancario” (D. Lgs. 1 settembre 1993 n. 385) per poi trovare dimora nell’art. 42 del Codice del Consumo, una volta entrato in vigore.
Da ultimo questa disciplina ha subito notevoli modifiche a seguito della nuova Direttiva 08/48/Ce, recentemente attuata dal legislatore nazionale con il D.Lgs. 13 agosto 2010 n. 141.
Dalla lettura dei “considerando” della Direttiva, si evince come la Comunità Europea ha preso atto di come gli ampi spazi lasciati dalla precedente normativa comunitaria avessero portato ad un’eccessiva frammentazione normativa all’interno dei singoli ordinamenti dei vari Stati membri, nel settore del credito al consumo e unito al rapido sviluppo del mercato del credito, con l’introduzione anche di nuovi strumenti, creava ostacolo alla creazione di un mercato unico del credito.
Così la comunità ha inteso intervenire in maniera incisiva, vietando agli Stati membri l’adozione di norme nazionali in contrasto con la nuova disciplina.
La vecchia normativa dei contratti cd collegati contenuta nell’art. 42 del Codice del Consumo, oggi abrogato con l’entrata in vigore del D. Lgs. 141/2010 (che riposiziona la disciplina nuovamente all’interno del riformato TUB) era stata oggetto di un mio precedente articolo – “La tutela del debitore nel credito al consumo in caso di inadempimento da parte del venditore”, a cui si rimanda per meglio apprezzare la portata delle modifiche oggi in vigore (leggi qui l’articolo).
In quella sede si era ben argomentato come la possibilità per il consumatore di aggredire la società finanziaria che aveva concesso il mutuo, in caso di inadempimento del venditore, così da paralizzare la sua pretesa al pagamento delle rate, era subordinata ad una preventiva ed infruttuosa messa in mora elevata nei confronti del venditore e soprattutto alla prova, posta a carico del consumatore, di dimostrare la sussistenza di un rapporto di esclusiva tra finanziatore e fornitore.
Tale limite che penalizzava non poco il potere di iniziativa per il consumatore oggi finalmente viene meno per effetto della nuova normativa, che “codifica” una precedente pronuncia della Corte di Giustizia della Comunità Europea e che consentiva, in ogni caso, al consumatore di agire nei confronti della società finanziaria, a prescindere dalla natura del rapporto esistente tra finanziaria e fornitore.
Infatti dal testo dell’art. 125-quinquies si legge come il consumatore, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se ricorrono le condizioni di cui all’art. 1455 del Codice Civile.
Va osservato come se da un lato non si possa negare, quale risultato della riforma, un ampliamento della tutela riservata, in questi casi, al consumatore, dall’altro l’esplicito riferimento all’art. 1455 abbia voluto evitare di coinvolgere il finanziatore – con il conseguente obbligo di restituzione al consumatore di tutto quanto nel frattempo incassato e di veder ripetere nei confronti del fornitore le somme già erogate – nei casi di inadempimenti di scarsa importanza, insufficienti per ottenere la risoluzione di qualsiasi contratto.
Infine, vale la pena di far rilevare l’importante novità in tema di diritto di recesso dal contratto di credito.
Tale facoltà di ripensamento per il consumatore è prevista dall’art. 125-ter del nuovo TUB, e prevede per detto soggetto la facoltà di uscire dal vincolo contrattuale – ad nutum – ossia senza l’obbligo di motivare la sua scelta, mediante l’invio nel termine di 14 giorni di una raccomandata e senza spese, anche se il contratto di credito è stato concluso nei locali del professionista.
La conseguenza è che il consumatore non è più obbligato al contratto di finanziamento stipulato ed avrà diritto alla restituzione delle rate e di tutti gli oneri eventualmente già sborsati, ma senza che ciò comporti conseguenze per il contratto di acquisto del bene. Pertanto, il consumatore dovrà comunque provvedere al pagamento del bene acquistato.
Invece, se si vuole recedere dal contratto di acquisto del bene e si è ancora in tempo, l’invio della comunicazione di recesso al venditore del bene o al fornitore del servizio, per effetto della natura di contratto collegato, travolge a cascata anche il contratto di credito al consumo ed il venditore, tenuto a comunicare alla finanziaria l’intervenuto recesso, sarà obbligato a restituire a quest’ultima la somma eventualmente già ricevuta.
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Buon giorno ho acquistato a rate un depuratore ‘acqua. Vista la bolletta d’acqua ricevuta raddoppiata come importo,ho fatto una verifica e ho riscontrato che a fronte di 1 litro d’acqua filtrata ben 3 litri andavano nello scarico.
A questo punto vorrei annullare il contratto.
È sufficiente una raccomandata alla Soc. Fornitrice?