Furto di identità su Facebook

Il diffondersi sempre maggiore di nuovi strumenti di contatto, di diffusione e di condivisione dei propri dati personali tipici dei social network porta con sé la crescita esponenziale di condotte illecite, talvolta penalmente rilevanti che, invadendo la privacy degli interessati, sono fonte di danno.

Una condotta che si realizza sempre con maggior intensità è quello della creazione di profili falsificati, mediante l’impiego di dati personali di altri soggetti, per provare il brivido di assumere le vesti di un personaggio famoso (per esempio di un cantante, di un calciatore o di un politico – i più “gettonati in Italia sono, solo per fare alcuni nomi: Monica Bellucci, Fiorello, Carlo Verdone, Cristiana Capotondi, Pippo Baudo, Michelle Hunziker) senza rendersi conto che ciò provoca per il soggetto depredato, danno alla propria reputazione ed all’immagine.
Se ad esempio io volessi entrare nelle grazie di un qualunque signor Rossi su Facebook, non sarebbe così difficile dare un’occhiata ai suoi amici pubblici (nel caso Rossi avesse incoscientemente dato il permesso di vederli) e creare un’identità fasulla con il nome e la foto di qualcuno che conosce, chiedendogli poi di far parte dei suoi amici. In questa identità potrei aggiungere anche i falsi dati di scuola e famiglia, prendendoli dai dati pubblicati sul network. Quando il signor Rossi riceve la mia richiesta di amicizia e ingenuamente accetta, istantaneamente perde la sua privacy, lasciando libero accesso ai contenuti del suo profilo a un estraneo.
Si sta in sostanza riversando nel mondo virtuale ciò che purtroppo già accadeva nel mondo reale, dove personaggi senza scrupoli, spesso organizzati in vere e proprie associazioni a delinquere, carpiscono i dati anagrafici di altri soggetti – dando luogo al cd furto d’identità – al fine di sostituirsi alla vittima nella sottoscrizione di contratti di acquisto di beni (es. autoveicoli) e sottoscrivendo in loro nome contratti di finanziamento, corredati da documenti di identificazione ovviamente falsificati.
Da un punto di vista giuridico, in Italia, non esistono norme che prevedono e codificano in reati specifici le condotte commesse su internet, e per questo, con l’ausilio della dottrina e della giurisprudenza vengono “prese a prestito” fattispecie di reati quali la sostituzione di persona (art. 494 c.p.) ed altre forme previste dal Codice sulla Privacy (D.Lgs. 196/2003) che vengono in genere applicate per le condotte commesse al di fuori della rete.
Sul punto occorre segnalare, al contrario, una severa legislazione adottata nello Stato della California che punisce tutti coloro che accedono a Facebook sotto falso nome, con una pena che prevede 1000 dollari di multa e sino ad una anno di reclusione, qualificando tale condotta come reato.
Come detto tale orientamento non trova omologhi in Italia ma, si potrebbe discutere circa l’applicabilità di detta normativa anche per condotte commesse nel nostro Ordinamento.
Infatti, pur non essendoci orientamenti univoci circa le regole da seguire in tema di competenza territoriale nei casi di reati commessi a mezzo internet, proprio a causa della aterritorialità della rete, parte della dottrina ha ritenuto che si debba applicare la legge vigente nello Stato nel cui territorio è avvenuta l’immissione dei dati da parte dell’autore ovvero del gestore del servizio (titolare del server).
Altra opinione ritiene invece che la competenza territoriale debba ricercarsi con riferimento a luogo di inserimento dei dati, a nulla rilevando la posizione del server che, lungi dall’immettere la comunicazione, svolge la funzione meramente passiva di ricezione e trasmissione che consente la circolazione delle informazioni inviate e lette dai soggetti interessati.
Altro orientamento ancora, frequentemente richiamato per esempio in tema di diffamazione, ritiene che la competenza si radichi nel momento e nel luogo in cui il reato si è consumato.
In merito alla tematica del furto di identità “virtuale”, è opportuno segnalare una sentenza della Cassazione – Cass. V Sez. Pen. Sent. n. 2335/07 – che ha ritenuto punibile ai sensi dell’art. 494 c.p. (sostituzione di persona) con la reclusione sino ad un anno l’imputato che aveva creato un account di posta elettronica “sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona”.
I fatti vedevano coinvolgere un soggetto che servendosi dei dati personali di un’altra persona, utilizzava l’indirizzo di posta elettronica creato con i dati altrui e successivamente, utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della rete Internet a nome della suddetta persona e così induceva in errore sia il gestore del sito sia gli utenti, attribuendosi il falso nome anzidetto.

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