Secondo il principio di autoresponsabilità del consumatore invocato dalla Cassazione con sentenza 14257/2020 il viaggiatore non avrà diritto al risarcimento nel caso in cui non abbia utilizzato informazioni importanti inviate per iscritto dall’agenzia viaggi poco prima di partire, che avrebbero evitato il “danno da vacanza rovinata”.
L’accusa di vacanza rovinata
La ricorrente porta in giudizio l’agenzia viaggi con cui lei e altre persone avevano stipulato un contratto di viaggio turistico collettivo che prevedeva la permanenza di cinque giorni in Siria e di tre in Giordania, per ottenere il pagamento di tutti i danni subiti, anche non patrimoniali, da vacanza rovinata.
Il risarcimento viene richiesto per l’essere state costrette, una volta fermate in aeroporto, a proseguire a proprie spese organizzando a proprio carico un trasferimento, venendo bloccate due volte in aeroporto senza poter proseguire il viaggio assieme agli altri e ricongiungendosi al resto del gruppo solo dopo alcuni giorni.
La ricorrente incolpa l’agenzia viaggi di violazione del Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005) per non averla informate adeguatamente riguardo le condizioni applicabili al cittadino di uno Stato membro dell’Ue in materia di passaporto e visto per entrare in Siria. L’agenzia viaggi dal canto suo si dichiara esente da ogni responsabilità.
Giunti in giudizio, il giudice di primo grado rigetta la domanda della ricorrente poiché per le attrici sarebbe stato possibile, “avendo ricevuto l’opuscolo informativo prima della partenza (anche se pochi giorni prima), chiedere l’annullamento del contratto e la responsabilità della somma versata”. In secondo grado viene confermata la sentenza che la ricorrente decide di impugnare in Cassazione.
Il ricorso in Cassazione
Giunti in Cassazione con sentenza 14257/2020 viene dapprima osservato che il ricorso non è preciso in merito a quali danni la ricorrente abbia subito, ritenendo altrettanto laconica la descrizione del comportamento tenuto dall’agenzia viaggi.
Scremate le prefazioni del ricorso i giudici arrivano al succo ritenendo che: “Al netto di tali censure, la questione sottoposta all’attenzione di questa Corte è quella relativa alla violazione di uno specifico obbligo di informazione precontrattuale di cui era destinataria la odierna ricorrente, nella veste di consumatrice/acquirente di un contratto di viaggio organizzato.”
La giurisprudenza e la normativa
L’obbligo di trasferire informazioni da chi agisce come professionista opera anche nella fase che precede la conclusione del contratto.
L’art. 87 c.1 del Codice del Consumo prevede che “Nel corso delle trattative e comunque prima della conclusione del contratto, il venditore o l’organizzatore forniscono per iscritto informazioni di carattere generale concernenti le condizioni applicabili ai cittadini dello Stato membro dell’Unione Europea in materia di passaporto e visto con l’indicazione dei termini per il rilascio, nonché gli obblighi sanitari e le relative formalità per l’effettuazione del viaggio e del soggiorno”.
Viene ricostruito che l’obbligo di informazione sta tanto nella fase precedente la conclusione del contratto quanto nell’incremento delle possibilità di conoscenza. In base a tale principio infatti “Il Tribunale ha ritenuto non risultasse provato il nesso di causa tra l’inesatto adempimento e i danni lamentati, perché la odierna ricorrente non aveva né dedotto né provato circostanze concrete e specifiche a causa delle quali non aveva potuto prendere visione delle informazioni ricevute e quindi evitare il viaggio, chiedendo l’annullamento del contratto e la restituzione del corrispettivo versato“.
La soluzione per i giudici di legittimità è ispirata al principio di autoresponsabilità del consumatore: la disponibilità per iscritto qualche giorno prima della partenza della viaggiatrice dell’informazione di cui aveva bisogno affinché non le fosse rovinata la vacanza, e che evidentemente con negligenza la stessa ricorrente non aveva utilizzato, non le garantisce alcuna conseguenza suscettibile di essere risarcita dall’agenzia viaggi citata in giudizio.
Per questo motivo la Cassazione rigetta il ricorso.
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