Ci sono simboli di marchi famosi talmente noti che ormai, a prima vista, vengono immediatamente associati alla casa produttiva cui si riferiscono. Basti pensare al cavallino rampante della Ferrari o al “baffo” della Nike: il pensiero va direttamente alla marca che rappresentano. Ma cosa succede a livello legale se ad essere messi in vendita sono prodotti con un marchio molto simile, ma non identico, a quello di una marca famosa?
Nel caso di oggi vi raccontiamo di una nota marca di moda fiorentina, che ha portato a processo una casa produttiva cinese accusandola di avere un marchio troppo simile al proprio: la Cassazione ha ricordato che in questo e in casi analoghi il compito del giudice è quello di valutare non solo la possibilità da parte della clientela di confondere i due marchi, ma anche quello di verificare l’indebito guadagno percepito dal secondo a discapito del primo.
Per la Corte d’Appello non c’è il rischio di confondere i due marchi
La corte d’Appello di Firenze rigetta l’appello proposto dalla casa di moda fiorentina volto ad ottenere l’annullamento, per difetto di novità, di un altro marchio meno noto, “accusato” di essere troppo simile a quello della ricorrente.
Valutando il caso i giudici di secondo grado ritengono che facendo una comparazione dei due segni “non poteva sussistere una somiglianza tale da generare il rischio di confusione o da indurre in errore il consumatore medio dei prodotti, presentando i marchi della casa produttrice cinese differenziazioni idonee ad escludere nel consumatore ogni rischio di confusione”.
Il ricorso in Cassazione
Il marchio di moda fiorentino propone allora ricorso in Cassazione, lamentando che “a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, il confronto tra marchi in conflitto deve essere eseguito “in astratto” […] prescindendo dall’accertamento relativo alla confondibilità dei prodotti e dalle concrete modalità d’uso. Inoltre la rinomanza del marchio ne rafforza la capacità distintiva ed aumenta il rischio di confusione tra segni, determinato non solo dal grado di somiglianza tra i segni, ma anche dall’associazione che può essere fatta tra i segni in conflitto”.
Nel suo ricorso la ricorrente ricorda inoltre che il titolare del marchio rinomato è meritevole di tutela anche quando il terzo tragga dall’uso del segno contraffatto un indebito vantaggio dalla rinomanza o dalla forza distintiva del primo marchio, sfruttandone così tutte le valenze evocative, fattore in alcun modo preso in considerazione dai giudici di secondo grado.
Per la Cassazione i marchi famosi meritano protezione oltre al rischio “confusione”
Gli Ermellini riconoscono che “la Corte d’Appello, nell’analizzare esclusivamente il criterio del rischio di confusione tra i segni in conflitto, ha erroneamente omesso di considerare che la tutela rafforzata che la legge italiana – in attuazione della direttiva CE 89/104 (vedi art. 5 n. 2) – riconosce ai marchi di rinomanza comporta che si può del tutto prescindere dall’accertamento di un eventuale rischio di confusione tra segni (Cass. n. 26000/2018)”.
Infatti all’art. 12 lett f) d.lgs n. 30/25 e l’art. 20 lett c) non è richiesta la sussistenza del requisito del rischio di confusione per il pubblico a causa dell’identità o della somiglianza tra i segni, essendo “sufficiente che il contraffattore possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore, o che l’uso del segno senza giustificato motivo da parte del contraffattore possa recare pregiudizio al marchio di rinomanza.”
I giudici ricordano infine che “Quanto all’intensità della notorietà e del grado di carattere distintivo del marchio, è stato evidenziato che più il carattere distintivo e la notorietà del marchio di cui si tratta sono rilevanti, più facilmente sarà ammessa l’esistenza di una violazione“.
Per questi motivi la Cassazione con sentenza 27217/2021 stabilisce che la pronuncia impugnata debba essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze per un nuovo esame.
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