Validità degli accordi in vista del futuro divorzio

Con sentenza del 14 Dicembre 2005 il Tribunale di Macerata dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i coniugi; affidava alla madre i figli minori, ponendo a carico del padre un contributo periodico al loro mantenimento.
Punto focale della sentenza è, però, il rigetto della domanda riconvenzionale svolta dal marito nei confronti della moglie volta ad ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. per la esecuzione in forma specifica dell’impegno assunto con scrittura privata dalla moglie, prima del matrimonio, di trasferire al marito la proprietà di immobile in caso di fallimento del matrimonio stesso.
La Corte d’Appello di Ancona, chiamata dal marito a pronunciarsi sulla questione della validità ed eseguibilità dell’ impegno assunto dalla moglie, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Macerata dichiarava valido ed efficace il predetto impegno negoziale.
La moglie proponeva ricorso in Cassazione avverso tale decisione lamentando che la scrittura privata oggetto del giudizio, traendo il proprio titolo genetico dal matrimonio, violerebbe l’art. 160 c.c. ove si precisa che i coniugi non possono derogare ai doveri e diritti nascenti dal matrimonio.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla questione, in primis, da atto, del costante orientamento giurisprudenziale secondo cui tali accordi, assunti prima del matrimonio, o magari in sede di separazione consensuale, e in vista del futuro divorzio debbano ritenersi nulli per illiceità della causa perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall’art. 160 c.c.; la Corte, però, da anche atto dell’orientamento della dottrina e di quella più recente giurisprudenza che ha invece sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sé contrari all’ordine pubblico.
Più specificamente:
Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in via preventiva, il regime giuridico patrimoniale del futuro ed eventuale divorzio sono nulli per illiceità della causa. Tale principio non trova applicazione qualora l’autorità giudiziaria accerti che l’accordo aveva la funzione di porre fine ad alcune controversie insorte tra i coniugi senza alcun riferimento esplicito o implicito al futuro assetto dei rapporti economici conseguenti all’eventuale pronuncia di divorzio” (Cass. Civile n.8109/2000).
La Corte, poi, affronta il caso specifico sostenendo che la condizione del “fallimento” del matrimonio appare conforme all’art. 160 c.c.
Ed infatti
la condizione, nella specie sospensiva (il “fallimento” del matrimonio) non può essere meramente potestativa ai sensi dell’art. 1355 c.c. e cioè dipendere dalla mera volontà di uno dei contraenti (ciò che, nella specie, potrebbe verificarsi considerando, evidentemente, le parti tale fallimento come fattore oggettivo, indipendentemente da eventuali responsabilità addebitabili all’uno o all’altro coniuge).
La condizione neppure può porsi in contrasto con norme imperative, l’ordine pubblico, il buon costume (in tal caso renderebbe nullo il contratto ai sensi dell’art. 1354 c.c.).
Dunque, nulla sarebbe una condizione contraria all’art. 160 c.c.. E tuttavia, nella specie, essa appare pienamente conforme a tale disposizion
e”.
Secondo la Corte, in costanza di matrimonio opera tra i coniugi il dovere reciproco di contribuzione, di cui all’art. 143 c.c.; i rapporti patrimoniali di dare ed avere subiscono, quindi, su accordo dei coniugi, una sorta di quiescenza, una “sospensione” che cesserà con il “fallimento” del matrimonio e con il venire meno, provvisoriamente con la separazione, e definitivamente con il divorzio, dei doveri e diritti coniugali.
Pertanto la Corte ha ritenuto l’accordo intervenuto tra i coniugi una “condizione lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, sicuramente diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2”.
In conclusione, nel caso de quo, la Corte ha sostenuto che l’accordo con cui i coniugi stabiliscono in anticipo, che, in caso di “fallimento” del matrimonio, l’uno ceda all’altro l’immobile di sua proprietà quale indennizzo delle spese sostenute da quest’ultimo per la ristrutturazione di altro immobile adibito a casa coniugale, è valido ed efficace in quanto il “fallimento” del matrimonio non è la “causa” dell’accordo stesso e tale accordo non intende regolare l’intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante degli stessi.

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