Con sentenza n. 107 del 22 maggio 2013, la Corte Costituzionale, rigettando una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Trani in ordine all’art. 1, comma 1, del D. Lgs. n. 368/2001, nella parte in cui non prevede espressamente l’onere, a carico del datore di lavoro, di indicare il nome del lavoratore sostituito, ha affermato che il criterio di identificazione personale del prestatore sostituito risponde a criteri di trasparenza ma che non si può escludere, in presenza di realtà aziendali complesse (v. Cass., n. 10175 del 28 aprile 2010) la individuazione di criteri alternativi, rigorosamente oggettivi, tali da raggiungere lo stesso fine di trasparenza.
In particolare, il Giudice delle leggi ha ritenuto che:
“Il legislatore, prescrivendo l’onere di specificazione delle ragioni sostitutive per poter assumere lavoratori a tempo determinato, ha imposto una regola di trasparenza. Ha precisato, cioè, che occorre dare giustificazione della sostituzione del personale assente con diritto alla conservazione del posto con una chiara indicazione della causa.
In tale prospettiva, il criterio della identificazione nominativa del personale sostituito è da ritenere certamente il più semplice e idoneo a soddisfare l’esigenza di una nitida individuazione della ragione sostitutiva, ma non l’unico.
Non si può escludere, infatti, la legittimità di criteri alternativi di specificazione, sempreché essi siano rigorosamente adeguati allo stesso fine e saldamente ancorati a dati di fatto oggettivi. E così, anche quando ci si trovi – come ha rilevato la Corte di cassazione – di fronte ad ipotesi di supplenza più complesse, nelle quali l’indicazione preventiva del lavoratore sostituito non sia praticabile per la notevole dimensione dell’azienda o per l’elevato numero degli avvicendamenti, la trasparenza della scelta dev’essere, nondimeno, scrupolosamente garantita. In altre parole, si deve assicurare in ogni modo che la causa della sostituzione di personale sia effettiva, immutabile nel corso del rapporto e verificabile, ove revocata in dubbio.
La giurisprudenza di legittimità, muovendo da tale assunto, ha preso solo atto della «illimitata casistica che offre la realtà concreta delle fattispecie aziendali» e ne ha desunto la necessità di tenere conto delle peculiarità dei molteplici contesti organizzativi ai fini dell’assolvimento dell’onere del datore di lavoro di specificare le esigenze sostitutive nel contratto di lavoro a tempo determinato. In conseguenza, l’apposizione del termine per “ragioni sostitutive” è stata ritenuta legittima anche quando, avuto riguardo alla complessità di certe situazioni aziendali, l’enunciazione dell’esigenza di sopperire all’assenza momentanea di lavoratori a tempo indeterminato sia accompagnata dall’indicazione, in luogo del nominativo, di elementi differenti, quali l’ambito territoriale dell’assunzione, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni e il diritto alla conservazione del posto dei dipendenti da sostituire, che permettano ugualmente di verificare l’effettiva sussistenza e di determinare il numero di questi ultimi (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze n. 1576 e n. 1577 del 2010, cit.).
In tal senso, le sentenze della Corte di cassazione hanno dato una lettura coerente con le decisioni di questa Corte. Con esse si è voluto soltanto garantire pienamente la trasparenza e la veridicità della causale e la sua successiva verificabilità in caso di contestazione”.
In sintesi, dunque, nelle ipotesi di assunzioni di lavoro a termine per ragioni sostitutive, è stato ritenuto legittimo – per la specificazione della causale assuntiva – l’impiego di un criterio alternativo all’individuazione nominativa del lavoratore sostituito, potendo invece essere utilizzato, ad esempio, il criterio del c.d. “scorrimento” (cioè l’individuazione dei ruoli e mansioni dei lavoratori che, temporaneamente, andranno a prendere il posto dei dipendenti assenti con diritto alla conservazione del posto).
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