In Italia ci sono migliaia di volontarie e volontari che a titolo assolutamente gratuito ogni giorno sfamano e accudiscono cani e gatti randagi, permettendo loro di sopravvivere pur rimanendo in strada. Ma sfamare animali randagi è reato? Per la legge bisogna distinguere a seconda delle situazioni: vediamo insieme quando l’amore e l’accudimento per animali senza padrone rischia di integrare qualche illecito.
Sfamare animali randagi: la lotta di alcuni Comuni contro i volontari
Di recente si è tornati a parlare della questione in particolar modo per via dell’ennesima ordinanza comunale (nello specifico emanata dal sindaco di Castelbuono, in Sicilia) che vieta a chiunque di sfamare cani, gatti e uccelli in strada, disponendo sanzioni fino a 500 euro per chi contravvenga a tali disposizioni. Una scelta che ha fatto fin da subito discutere e insorgere le associazioni animaliste che da sempre si prodigano per tutelare gli animali che vivono in strada e che in alcuni Comuni rischiano di venire punite per questo. Purtroppo, infatti, quello di Castelbuono non è il primo Comune che si muove in questo senso, sperando che sanzionando chi sfama gli animali liberi si possa in qualche modo arginare non solo il randagismo ma anche i danni da esso causati legati all’igiene e alla salute pubblica, seppur la soluzione sia chiaramente da trovare altrove.
Sfamare animali randagi: cosa dice la giurisprudenza
La giurisprudenza italiana si è già in passato più volte espressa in merito alla liceità o meno di sfamare gli animali randagi, chiarendo che di per sé il sol fatto di dare cibo e accudire cani o gatti di strada non integra un illecito, se non in specifici casi.
Con sentenza n. 6045/2010 il Tar del Veneto ha bollato come illegittima un’ordinanza comunale che, con lo scopo di tutelare la salute e l’igiene pubblica ed evitare rischi epidemiologici e di degrado degli spazi aperti che derivavano dall’elevato numero di animali randagi vietava a tutti i cittadini di sfamarli, anche saltuariamente. E non solo: il Tar veneto ha espressamente chiarito che, così come previsto dalla legge regionale veneta, gli unici modi che in Veneto i Comuni hanno per arginare il problema del randagismo sono quelli:
- di effettuare un controllo sulle nascite con una campagna di sterilizzazione a tappeto;
- dell’allontanamento in altre zone degli animali, lontane da quelle urbane;
- della soppressione degli animali con comprovata pericolosità, quelli gravemente ammalati o incurabili.
La disposizione comunale, inoltre, risultava essere contraria non solo alla legge regionale veneta ma anche a quella nazionale n.281/1991 in tema di prevenzione del randagismo e tutela degli animali di affezione.
Nel 2012 sia il Tar delle Marche che della Puglia hanno trattato l’argomento. Il primo, con sentenza n. 753, ha dichiarato illegittimo il divieto di somministrare cibo agli animali randagi con contenitori sulle aree pubbliche, che era stato vietato sempre da un’ordinanza comunale. Il secondo, con sentenza. 525, ha evidenziato come – molto semplicemente -non esiste una legge che faccia divieto di alimentare gli animali randagi nei luoghi in cui trovano rifugio. Anche in quest’ultimo caso veniva citata la legge 281/91, ricordando come questo divieto sia in contrasto con l’art. 2 della stessa.
Nel 2018 anche il Tar della Campania, con ordinanza n. 958, ha dichiarato illegittimo il divieto di sfamare gli animali randagi mettendo in luce come, senza il prezioso lavoro dei volontari, cani e fatti rischierebbero di morire di inedia per la mancata somministrazione di cibo in luoghi pubblici. Il Tar campano, però, ha specificato anche che il deposito di cibo deve avvenire “attraverso l’uso di appositi contenitori ed a condizione che gli stessi vengano successivamente rimossi a cura degli stessi cittadini che hanno somministrato il cibo, costituendo tale successivo adempimento un loro preciso obbligo, oltre che conforme al comune senso civico”.
Quando sfamare animali randagi è punibile
Sfamare gli animali per strada, dunque, è un’azione assolutamente lecita e chi la compie correttamente non corre alcun pericolo. Come accennato fin dall’inizio di questo articolo, però, vi sono specifici casi in cui sfamare animali randagi rischia di integrare uno o più illeciti, se non si rispettano le normative vigenti.
Ad esempio, si rischia di incorrere in disturbo della quiete pubblica (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, art. 659 c.p.) quando sfamare gatti e cani randagi favorisce l’assidua presenza degli stessi in uno specifico luogo tale da causare fastidio e disturbo alle persone. Il consiglio in questi casi, per evitare di disturbare i residenti o chi lavora in zona, è quello di trovare un luogo più isolato dove sfamare i randagi, in modo che si riducano le possibilità di lamentele e i potenziali disagi. Le colonie feline infatti sono spesso posizionate in zone più periferiche delle città.
Anche il getto pericoloso di cose è uno dei rischi che si corrono quando si sfamano animali in strada: l’art. 674 c.p. dispone infatti che “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206”. Questo può succedere quando ad esempio si lasciano per strada le scatolette di cibo o gli avanzi, imbrattando così il suolo pubblico.
Infine, seppur non sia certo il caso dei volontari, chiunque dia volontariamente cibo nocivo agli animali randagi – ad esempio disseminando le terribili “polpette avvelenate” o pesticidi posizionati apposta affinché siano ingeriti da cani e gatti – incorre nel reato di maltrattamento sugli animali, disciplinato dall’art. 544 ter c.p..
Per una consulenza legale: info@iltuolegale.it – 02 94088188
Non si effettua consulenza legale gratuita.
È assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo