A che punto è la normativa in Italia in materia di accordi prematrimoniali? Si possono già stipulare? In quali casi sono validi?
Il Governo ha recentemente approvato il Disegno di legge recante delega al governo per la revisione del codice civile.
Tra le altre riforme o integrazioni al codice, viene proposta l’introduzione dei c.d. accordi prematrimoniali, ovvero accordi con i quali le parti decidono ancora prima di contrarre matrimonio o unione civile le modalità che regoleranno una eventuale futura crisi.
Il testo del Disegno di legge prevede infatti di: “consentire la stipulazione tra i nubendi, tra i coniugi, tra le parti di una programmata o attuata unione civile, di accordi intesi a regolare tra loro, nel rispetto delle norme imperative, dei diritti fondamentali della persona umana, dell’ordine pubblico e del buon costume, i rapporti personali e quelli patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto, nonché a stabilire i criteri per l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli”.
In Italia – a differenza che nei Paesi di matrice anglosassone e di alcuni Paesi Europei – i patti prematrimoniali non sono consentiti e, ove stipulati, sono considerati nulli in quanto contrari all’ordine pubblico.
A seguito di un lungo percorso, la giurisprudenza ha ora individuato quali siano gli accordi tra coniugi permessi dalla legge – e con quali limiti – da quelli vietati in quanto riservati al vaglio del Giudice.
Sono ritenuti validi ed efficaci, trovando fondamento e legittimazione nell’autonomia contrattuale delle parti patti che, pur intervenendo in un momento in cui la crisi matrimoniale è già in atto (ma comunque stipulati solo dopo la contrazione di matrimonio o di unione civile), anticipano o sono contestuali alla pronuncia di separazione o alla pronuncia di divorzio, purchè rispettino i seguenti limiti:
a) si tratti di accordi che solo eventualmente rientrano in una causa di separazione/divorzio, in quanto non ritenuti elementi essenziali (ma solo occasionali) del procedimento. Sono accordi dal contenuto per lo più economico, quali la ripartizione della casa famigliare in comunione, dei conti correnti, dei beni in comune, ecc;
b) se intervenuti in un momento anteriore o contestualmente alla separazione, e non trasfusi nel relativo verbale, devono ritenersi validi ed efficaci purchè non confliggano con le disposizioni ivi contenute;
c) se intervenuti successivamente all’omologa della separazione, nel caso in cui riguardino una migliore specificazione di questioni contenute nel verbale di separazione omologato, ovvero problemi sorti in seguito agli accordi di separazione, purché non violino i diritti e doveri imposti dalla legge per effetto del matrimonio.
È stata poi individuata una seconda categoria ove rientrano invece le clausole che, trattando il contenuto necessario della causa di separazione o divorzio, sono soggette al vaglio del giudice per verificare se le disposizioni convenute tra le parti rispettino o meno i diritti e doveri imposti loro dal contratto matrimoniale e sono quindi sottratte all’autonomia contrattuale delle parti.
Si tratta della regolamentazione inerente la cessazione del dovere di convivenza, l’eventuale diritto al mantenimento del coniuge economicamente più debole, l’affidamento, collocamento e mantenimento della prole, l’assegnazione della casa familiare.
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