Ti è mai capitato di chiederti quanto prendesse il tuo collega di scrivania, quello che sta proprio accanto a te e che mentre tu lavori passa metà del tempo al telefono pensando solamente a quanti anni mancano alla pensione? Sicuramente almeno una volta hai detto, parlando con amici e riferito al tuo capo, che “se solo lì prendessi tu tutti i soldi che si prende lui….” senza sapere quanti effettivamente siano, potendo solo immaginare allo stipendio da sogno che potrebbe avere.
Se sei donna, poi, peggio ancora: hai indubbiamente pensato almeno una volta che il collega uomo che svolge le tue stesse mansioni prende sicuramente più di te. E, spesso, potresti avere avuto ragione.
D’ora in poi, però, tutti questi dubbi potrebbero essere dissipati, perché grazie a una direttiva europea (direttiva Ue 2023/970) viene cancellato il segreto salariale: tutti potranno sapere quanto prendono i colleghi.
Stipendio, addio al segreto salariale grazie all’Ue
La normativa europea si pone come macro-obiettivo quello di raggiungere la parità salariale tra uomini e donne, superando il così detto “gender gap”: per farlo, tra le altre cose, dispone il divieto del segreto salariale tra colleghi che svolgono le medesime mansioni. Se lo stipendio del tuo capo resterà ancora un grande mistero, presto potrai sapere quanto effettivamente prende il pigrone che ti sta accanto.
Secondo la direttiva Ue, i lavoratori avranno il diritto di informarsi e ricevere tutte le informazioni richieste relativamente ai livelli retribuitivi individuali e medi di ambo i sessi. Addio, dunque, alle clausole contrattuali che fino ad oggi hanno impedito ai dipendenti di parlare del proprio salario e di sbandierarlo ai quattro venti, e salutiamo anche tutte quelle usanze aziendali a causa delle quali se avessi chiesto delucidazioni merito alla propria o altrui retribuzione saresti stato messo all’angolo. A breve sarà tutto fatto alla luce del sole.
Segreto salariale addio: da quando e per chi
La nuova normativa europea, adottata e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue a maggio 2023, dovrà essere ratificata dall’Italia entro il 7 giugno 2026. Nonostante l’equità salariale sia già un obiettivo che il nostro Paese si è posto con il trattato di Roma, infatti, siamo ancora ben lontani dal raggiungerla.
L’art. 2 della normativa dell’Ue prevede che la direttiva si applichi ai datori di lavoro del settore pubblico e privato e a “tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia”.
Segreto salariale: cosa si può chiedere
Ma nel concreto, in che modo i dipendenti potranno esercitare questo neoacquisito diritto? I lavoratori potranno richiedere e ricevere per iscritto tutte le informazioni relative a:
- Il loro livello retributivo individuale;
- I livelli retributivi medi dell’azienda;
- I livelli retributivi delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro (o uno di pari valore) suddivisi per sesso.
Una volta ricevuta la domanda per iscritto, il datore di lavoro avrà l’onere di rispondere e fornire tutte le informazioni richieste entro e non oltre due mesi dalla data in cui la richiesta è stata presentata. Nel caso in cui la risposta sia incompleta, imprecisa o mancante, i dipendenti potranno richiedere delucidazioni o maggiori dettagli.
Inoltre, come anticipato, non potrà più essere limitato il diritto dei dipendenti di pubblicare o rendere nota la propria retribuzione.
Se vi è stata discriminazione salariale
Nel caso in cui una dipendente (o un dipendente) dovesse rilevare una discriminazione salariale legata al suo sesso sarà possibile ottenere un risarcimento che costerà caro e salato al datore di lavoro, il quale dovrà versare:
- Il recupero integrare delle retribuzioni arretrare;
- I bonus;
- Il risarcimento per tutte le opportunità perse;
- Il danno morale legato alla discriminazione.
Infine, l’onere della prova dinnanzi ad un giudice sarà in capo al datore di lavoro, il quale dovrà dimostrare di non aver violato le normative europee ed italiane relativa alla trasparenza retributiva e all’equità salariale.
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