Quando si parla di un divorzio o di una separazione è quasi immediato pensare a quanto il marito paghi per il mantenimento dell’ex moglie, che tradizionalmente nella coppia era quella che rinunciava alla propria carriera per prendersi cura di casa e figli. Negli anni, però, la situazione è mutata: ora le donne hanno acquisito più indipendenza ed eguaglianza e non spetta più solo a loro rinunciare a tutto per la famiglia, anzi lo stesso Governo sta mettendo in campo misure per garantire questa parità. Ma allo stesso modo, se ad occuparsi dei figli è il marito, è a lui che spetterà un adeguato mantenimento in caso di separazione.
Il caso del marito che chiede un sostanzioso mantenimento alla moglie
Nel caso che esaminiamo oggi la Corte di Cassazione conferma che anche il marito ha diritto a un mantenimento adeguato in seguito alla separazione se ha rinunciato alla sua carriera per la famiglia. In sede giudiziale, in seguito alla separazione, il marito nei primi due gradi di giudizio, chiede un assegno a titolo di mantenimento di importo più significativo, spiegando che durante il matrimonio, durato 17 anni, aveva lasciato il proprio lavoro come manager informatico per dedicarsi alla cura del figlio e della casa, venendo mantenuto dalla moglie, che beneficiava di cospicui redditi da lavoro e dalla sua famiglia d’origine. Il ricorrente spiega che dopo la separazione non è più riuscito a trovare lavoro e a permettersi un’abitazione propria, tanto da essersi dovuto materialmente appoggiare alla sorella.
Ricorrendo in Cassazione il marito denuncia che nei primi due gradi di giudizio gli è stato riconosciuto un importo palesemente inadeguato a “consentirgli di conservare il tenore di vita matrimoniale, in considerazione delle elevatissime capacità economiche di cui la moglie aveva sempre goduto e godeva tuttora”. Nel suo ricorso il marito rimarca il fatto che, “essedo rimasto fuori dal mondo del lavoro per dieci anni per una scelta concordata tra i coniugi per dedicarsi alla cura del figlio invalido, aveva perduto le pregresse capacità professionali nel settore informatico in costante evoluzione e non era riuscito a reinserirsi nel mondo del lavoro, anche in considerazione della sua non più giovane età”.
La decisione della Corte
Per i giudici di legittimità i motivi di ricorso del marito sono fondati. La Corte rileva come, a differenza del marito, la moglie dopo la separazione abbia continuato a godere del tenore di vita precedente alla separazione grazie alle sue numerose proprietà immobiliari e ai proventi che derivano dalla sua famiglia, pur provvedendo in via esclusiva al mantenimento del figlio (a cui il padre non contribuisce). Secondo la Suprema corte, nei primi due gradi di giudizio, durante la determinazione della quantificazione del contributo di mantenimento a favore del marito non sarebbe stato seguito il principio più volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “i redditi adeguati, cui va rapportato l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, stante la permanenza del vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione – a differenza di quanto accade con l’assegno divorzile che postula con lo scioglimento del vincolo coniugale – solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione”.
Per la Cassazione, l’assegno di mantenimento disposto a favore del marito non è stato pensato con lo scopo di garantirgli la conservazione del “tenore di vita matrimoniale”, ma solo a consentirgli di procurarsi un’abitazione e aiutarlo a provvedere al proprio “dignitoso mantenimento”. Per questo motivo la Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia al giudice di secondo grado.
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