La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di disporre in sede giudiziale un provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge economicamente più debole a titolo di mantenimento.
Nel caso preso in esame, il Tribunale adito in primo grado aveva riconosciuto al coniuge economicamente più debole il diritto alluso della casa familiare, anche se di esclusiva proprietà dellaltro coniuge, invece che lassegno di mantenimento. La Corte dAppello aveva riformulato la sentenza di primo grado sostenendo lillegittimità di tale provvedimento in quanto non è consentito al giudice imporre, invito debitore, l’adempimento in modo diretto – invece che mediante prestazione pecuniaria – dell’obbligo di mantenimento, in quanto l’art. 156 cod. civ., comma 1, stabilisce che si deve somministrare al coniuge, cui non sia addebitatile la separazione e che sia privo di adeguati redditi propri, quanto è necessario al suo mantenimento; che il potere del Giudice di assegnare la casa coniugale al coniuge affidatario di figli minori è in funzione degli interessi esclusivi della prole e non della necessità di mantenere il coniuge incolpevole, in quanto, diversamente opinando, il diritto d’uso dell’abitazione verrebbe a configurarsi come una specie di diritto reale di abitazione, in palese contrasto con la normativa.
La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla questione; nella sentenza 10994/2007, la I sezione della Corte ribadisce i principi affermati in giurisprudenza sul tema dellassegnazione della casa familiare.
Con la sentenza 1545/2006 la Cassazione aveva affermato che l’assegnazione della casa familiare risulta finalizzata alla esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta e non può essere disposta allo scopo di sopperire all’esigenze economiche del coniuge più debole, alle quali sono destinati unicamente gli assegni rispettivamente previsti dagli artt. 156 cod. civ. e L. n. 898 del 1970, art. 5; pertanto, la concessione del beneficio in parola resta subordinata all’imprescindibile presupposto dell’affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ad economicamente non autosufficienti.
Più recentemente la Corte, con sentenza 8221/2007, auspicava il sacrificio della posizione del coniuge titolare di diritti reali o personali sull’immobile adibito ad abitazione familiare, mediante assegnazione di siffatta abitazione in sede di divorzio all’altro coniuge, solo alla condizione dell’affidamento a quest’ultimo di figli minori o della convivenza con esso di figli maggiorenni ma non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri, laddove, in assenza di tali condizioni, coerenti con la finalizzazione dell’istituto alla esclusiva tutela della prole e del relativo interesse alla permanenza nell’ambiente domestico in cui essa è cresciuta, l’assegnazione medesima non può essere disposta in funzione integrativa o sostitutiva dell’assegno divorzile, ovvero allo scopo di sopperire alle esigenze di sostentamento del coniuge ritenuto economicamente più debole, a garanzia delle quali è destinato unicamente l’assegno anzidetto, onde la concessione del beneficio in parola resta subordinata agli imprescindibili presupposti sopra indicati.
In conclusione lassegnazione della casa familiare è subordinato allaffidamento di figli minori o alla convivenza con figli maggiorenni incolpevolmente economicamente non autosufficienti; lesigenza di protezione del coniuge più debole – e sempre che una simile situazione sia accertata dal Giudice del merito – può trovare soddisfazione attraverso la corresponsione dell’assegno divorziale, dovendosi escludere che l’assegnazione della casa coniugale possa essere configurata come unico strumento di tutela del coniuge più debole.
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