Rottamare o aggiustare? Questo è il dilemma quando si ha una macchina non più nuova che viene mezza distrutta in un incidente. Spesso, infatti, le assicurazioni risarciscono il danno in base al valore dell’auto e, così facendo, aggiustare la vettura diventa molto poco vantaggioso e si devono spendere molti soldi per acquistare un veicolo nuovo nonostante quello di prima fosse ancora funzionante. O almeno: così ha funzionato fino ad oggi.
In una recente sentenza della Corte di Cassazione è stato enunciato un importante principio destinato a cambiare i meccanismi risarcitori attualmente vigenti: quello del diritto di vedersi risarciti di un indennizzo per le riparazioni dal valore superiore rispetto a quello commerciale della macchina coinvolta nell’incidente.
Cosa denuncia la parte lesa
Nel caso concreto la Corte di Cassazione ha dato ragione al ricorso del proprietario del veicolo incidentato, il quale censurava la sentenza del Tribunale accusata di aver scelto di “liquidare il danno alla vettura per equivalente (in relazione al valore ante sinistro del mezzo) e non in forma specifica (in relazione al costo delle riparazioni effettuate)”.
La parte lesa denuncia la scelta del giudice di penalizzarla per aver preferito procedere alla riparazione piuttosto che alla rottamazione dell’auto, basando il danno da risarcire solo al valore del mezzo prima del sinistro e non a quanto ci sarebbe voluto per aggiustare l’automobile danneggiata.
Auto incidentata e risarcimento: cosa dice la Cassazione
Per gli Ermellini il motivo alla base dell’impugnazione è fondato perché “la disposizione dell’art. 2058 c.c. (relativo al risarcimento in forma specifica) prevede che il danneggiato possa chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile, consentendo tuttavia al giudice di disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore; ciò significa che, in relazione al danno subito da un veicolo, nel primo caso la somma dovuta è calcolata sui costi necessari per la riparazione, mentre nel secondo è riferita alla differenza fra il valore del bene integro (ossia nel suo stato ante sinistro) e quello del bene danneggiato (cfr. Cass. n. 5993/1997 e Cass. n. 27546/2017), ovvero nella «differenza fra il valore commerciale del veicolo prima dell’incidente e la somma ricavabile dalla vendita di esso, nelle condizioni in cui si è venuto a trovare dopo l’incidente, con l’aggiunta ulteriore della somma occorrente per le spese di immatricolazione e accessori del veicolo sostitutivo di quello danneggiato» (Cass. n. 4035/1975)”.
La reintegrazione in forma specifica dell’auto danneggiata
Nella sentenza n.10686/2023 la Corte spiega in modo chiaro che le due modalità di liquidazione si pongono in un rapporto di regola ed eccezione, nel senso che la “reintegrazione in forma specifica (che vale a ripristinare la situazione patrimoniale lesa mediante la riparazione del bene) costituisce la modalità ordinaria, che può tuttavia essere derogata dal giudice – con valutazione rimessa al suo prudente apprezzamento – in favore del risarcimento per equivalente, laddove la reintegrazione in forma specifica risulti eccessivamente onerosa per la parte obbligata”.
Per quanto riguarda, invece, l’eccessiva onerosità, la giurisprudenza di legittimità in passato l’aveva già ritenuta ricorrente «allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo» (Cass. n. 2402/1998, Cass. n. 21012/2010 e Cass. n. 10196/2022). Al debitore, quindi, non può essere imposta a qualunque costo la reintegrazione in forma specifica, dato che l’obbligo risarcitorio deve essere comunque parametrato a elementi oggettivi e che non può consentirsi che al danneggiato venga riconosciuto più di quanto necessario per sanare il danno subìto. In sostanza la Corte spiega che dall’incidente il danneggiato può ottenere al massimo quanto perso, nulla di più (e, teoricamente, anche nulla di meno).
Secondo la Corte, per poter applicare l’art. 2058, 2° co. c.c., serve che la verifica di eccessiva onerosità non sia basata solo sull’entità dei costi, ma che vi sia anche una valutazione della possibilità che la reintegrazione in forma specifica comporti o meno un arricchimento per il danneggiato. In quest’ultima ipotesi, infatti, si supererebbe la finalità risarcitoria rendendo ingiustificata la scelta di condannare il debitore a una prestazione che eccede il valore di mercato del bene danneggiato.
Rimborso del danno per equivalente
La Cassazione, infine, conclude spiegando che quando il giudice si avvalga della facoltà di liquidare il danno per equivalente devono essere rimborsati anche i costi da sostenere in caso di sostituzione del veicolo. Si tratta in questo caso di:
- spese di rottamazione,
- spese per nuova immatricolazione,
- bollo non goduto e fermo recupero mezzo analogo
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