Per comprendere se l’invio di un messaggio offensivo tramite posta elettronica indirizzata ad una pluralità di destinatari possa integrare il reato di diffamazione aggravata, occorre riferirsi al contenuto dell’art. 595 c.p., per poi analizzare la ratio della forma aggravata, di cui al comma 3° dell’articolo citato.
Affinché possa integrarsi il reato di diffamazione è necessario che vi sia un’offesa all’altrui reputazione realizzata con una comunicazione rivolta a più persone.
Qualora poi detta offesa avvenga “con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” si realizza l’ipotesi aggravata di cui al comma terzo.
In sostanza il reato tipizzato all’art. 595 c.p.p., comma 3 quale ipotesi aggravata del delitto di diffamazione trova il suo fondamento nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorché non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa.
Il discrimine tra diffamazione “semplice” ed aggravata risiede secondo giurisprudenza nelle peculiarità del mezzo utilizzato per la diffusione del messaggio offensivo, ossia quando l’invio avviene ad un numero chiuso di destinatari (per quanto potenzialmente elevatissimo nel numero) si esclude il mezzo di pubblicità mentre quando la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes ricorre l’aggravante del reato in questione (si pensi all’utilizzo di internet, ai profili dei social network, ai giornali on-line).
In questo solco interpretativo, va segnalata una recente sentenza del Tribunale di Milano – Sez. X – 11 febbraio 2016 n. 1624, Giud. Busacca, avente ad oggetto un caso di diffamazione nel quale la pubblica accusa ha contestato l’aggravante “di aver commesso il fatto con l’aggravante della stampa e con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ai sensi dell’art. 595 comma 3°” in relazione ad una comunicazione offensiva tramite e-mail e per tale motivo l’imputato è stato rinviato a giudizio dinnanzi al Tribunale in composizione monocratica.
Per rispondere all’eccezione di incompetenza per materia del Tribunale in favore di quella del Giudice di Pace sollevata dal difensore dell’imputato (solo per la forma aggravata la competenza è infatti quella del Tribunale) l’organo giudicante è stato chiamato ad esprimersi sulla questione se la posta elettronica possa o meno integrare un mezzo di pubblicità, equiparato alla stampa come previsto dal terzo comma dell’art. 595 c.p.
Il Giudice dopo aver definito la posta elettronica, nota anche come e-mail “come uno spazio riservato, messo a disposizione da un fornitore di servizi Internet, in cui vengono trasferiti per via telematica sul computer dell’utente i messaggi a lui diretti” osserva che “la comunicazione così realizzata non si differenzia pertanto in modo sostanziale dai tradizionali mezzi di trasmissione delle comunicazioni scritte, quali il servizio postale, il telegrafo ed il fax, se non per la mancanza di un supporto cartaceo (salvo che venga successivamente stampata).
Il Giudice infine conclude, richiamando arresti giurisprudenziali in materia (Cass. Sez. V 17-11-2000 n. 4741) che “la condotta di invio di una lettera o una e-mail ad un numero determinato di destinatari non è idonea ad integrare l’aggravante in esame, anche se inviata ad un numero cospicuo di persone” ed in accoglimento dell’eccezione sollevata dalla difesa dell’imputato, dichiara la propria incompetenza in favore del Giudice di Pace di Milano.
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