Una recente ordinanza emessa da un Tribunale italiano ha riportato l’attenzione su un tema tanto delicato quanto attuale: il compossesso di un animale da compagnia alla fine di una relazione affettiva.
La vicenda giudiziaria prende avvio con un reclamo promosso da una donna che si era vista improvvisamente negare l’accesso al cane, un bulldog inglese di nome Cesare, che aveva cresciuto insieme all’ex compagno.

Dopo la fine della loro relazione, i due avevano continuato a prendersi cura dell’animale secondo un accordo “di fatto”: ciascuno ne aveva la disponibilità per quindici giorni al mese. Tale regime era durato quasi due anni, fino a quando l’uomo aveva improvvisamente trattenuto il cane con sé, rifiutandosi di restituirlo.
La donna, ritenendo di essere stata illegittimamente spogliata del possesso, aveva agito in giudizio richiamando gli articoli 1168 del codice civile e 703 del codice di procedura civile, che regolano rispettivamente l’azione di reintegrazione nel possesso e il procedimento cautelare relativo.
Il giudice di primo grado nega la tutela: ricorso respinto
In un primo momento, il Tribunale aveva respinto il ricorso, ritenendo insussistenti i presupposti per la tutela possessoria. Secondo il giudice, mancava la prova di un possesso “qualificato” da parte della reclamante. Tuttavia, tale impostazione è stata successivamente smentita dal Collegio in sede di reclamo.
Il successivo reclamo viene accolto: riconosciuto il compossesso
Con ordinanza del 27 giugno 2019, il Tribunale ha accolto il reclamo, revocando la precedente decisione e disponendo la reintegrazione nel possesso del cane, per un periodo di quindici giorni al mese.
La decisione si fonda su una chiara distinzione tra possesso e titolo di proprietà. In ambito possessorio, infatti, non conta chi sia il proprietario dell’animale, ma chi eserciti, di fatto, un potere sulla cosa.
L’articolo 1140 c.c. definisce il possesso come un potere di fatto che si manifesta in attività corrispondenti all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Il giudice ha quindi riconosciuto che, nel caso in esame, la reclamante avesse esercitato un compossesso sull’animale, avendolo avuto con sé regolarmente per lunghi periodi e comportandosi verso l’esterno come se fosse la proprietaria.
Non bastano le “parole”: serve la prova della tolleranza
L’ex compagno aveva sostenuto che la donna si occupasse del cane solo per sua tolleranza. Ma, secondo il Tribunale, spettava a lui dimostrare tale eccezione, in base all’art. 2967 c.c., e tale prova non è stata fornita. Anzi, i messaggi scambiati tra le parti evidenziavano una situazione ben diversa: l’uomo riconosceva alla donna un ruolo paritario nella gestione dell’animale.
Lo spoglio: cos’è e quando si verifica
Fondamentale nella decisione è anche l’analisi del concetto di spoglio, che ai sensi dell’art. 1168 c.c. consiste in un atto che sottrae il possesso in modo illegittimo. Il Tribunale ha chiarito che la violenza, nel contesto possessorio, non deve essere fisica, ma può consistere anche nel semplice agire contro la volontà del possessore.
In questo caso, era evidente che l’ex compagno avesse interrotto unilateralmente l’accordo di compossesso, negando alla donna la possibilità di vedere il cane, pur sapendo che lei non era d’accordo. Da qui, la configurazione di uno spoglio violento, aggravato dall’animus spoliandi, cioè l’intenzione consapevole di impedire all’altro possessore l’uso del bene.
Il giudice non può organizzare il calendario
Pur disponendo la restituzione del cane per quindici giorni al mese, il Tribunale ha ritenuto di non poter stabilire in dettaglio le modalità di attuazione (giorni precisi, orari, luogo di consegna). In base all’art. 703, comma 2, c.p.c., in caso di inadempimento spontaneo all’ordine del giudice, sarà necessario attivare l’esecuzione in via breve ex art. 669 duodecies c.p.c., sempre sotto il controllo del giudice.
Considerazioni finali
Questo caso evidenzia l’importanza del possesso come situazione di fatto tutelata dall’ordinamento, indipendentemente dalla proprietà del bene. In particolare, offre spunti interessanti per riflettere su come la giurisprudenza affronti situazioni di vita comune (come la gestione di un animale da compagnia) alla luce di principi consolidati del diritto civile.
La decisione del Tribunale rappresenta un’applicazione concreta ed efficace delle norme sulla tutela possessoria, a garanzia di chi, pur non avendo un titolo di proprietà, esercita un potere effettivo e continuativo sul bene.

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