In questi giorni sta facendo molto discutere la notizia, pubblicata in seguito alla sentenza della Cassazione, del licenziamento di un professore a causa di una relazione avuta con una studentessa. Per i giudici di legittimità la scuola ha correttamente lasciato a casa il docente, essendo venuto comprensibilmente meno il rapporto fiduciario tra il dipendente e il datore di lavoro.
Professore licenziato e bandito dal pubblico impiego
Nel caso concreto un insegnante di un liceo aveva avuto una relazione sentimentale e sessuale con una studentessa minorenne, poi diventata maggiorente nel corso dell’anno scolastico d’interesse. Il rapporto, di cui la madre della ragazza era a conoscenza, pare fosse nato da un interessamento della giovane, assecondato da quello che fino ad allora era solo il suo professore.
In primo e in secondo grado i giudici respingono la richiesta del docente, che aveva impugnato il licenziamento e l’allontanamento dalle scuole lamentando la mancanza di proporzionalità, ragionevolezza e congruità del provvedimento adottato dalla scuola. Secondo il collegio non ha importanza né che la ragazza sia ormai maggiorenne né che i genitori (o almeno uno dei due) fossero consapevoli di ciò che stava succedendo, né che il rapporto tra i due fosse consenziente. Secondo i giudici il disvalore delle condotte tenute dall’insegnante è evidente considerato “da un lato il ruolo di responsabilità e la funzione educativa assegnategli, dall’altro il fatto che gli studenti a lui affidati attraversano un’età obiettivamente critica sotto il profilo dello sviluppo della personalità e delle modalità di interazione sociale”. In questo contesto, sottolinea la corte d’Appello, l’insegnante avrebbe dovuto relazionarsi agli studenti con la maturità di un soggetto adulto e svolgere un fondamentale ruolo educativo, non mettersi al pari dei suoi studenti intrattenendo una relazione con una di loro. Tutto ciò si è inevitabilmente riflesso sul rapporto fiduciario con l’amministrazione scolastica “pregiudicandolo in modo irreparabile”, e rendendo congruo il licenziamento, ritenuto proporzionale alla gravità dei fatti commessi.
Il ricorso in Cassazione
Il docente decide di ricorrere dinnanzi agli Ermellini lamentando che il contratto collettivo prevede il licenziamento nel caso di molestie o comportamenti sessuali, ritenendo la situazione da lui vissuta ben distante da questa ipotesi. Inoltre, il ricorrente sostiene che il licenziamento sia giunto nonostante l’assenza di ulteriori e precedenti addebiti disciplinari, senza peraltro considerare la condotta da lui tenuta durante tutto il procedimento, denunciando inoltre che la Corte territoriale non avrebbe precisato le ragioni per le quali il docente non sarebbe più idoneo all’insegnamento o a diversa funzione, che sarebbero alla base della scelta di bandirlo dai pubblici uffici.
La Cassazione, con sentenza n. 30955/2022, reputa il ricorso infondato, ribadendo la gravità delle condotte tenute dall’insegnante, ritenute “non conformi ai doveri specifici inerenti alla funzione e che denotano l’incompatibilità a svolgere i compiti del proprio ufficio nell’esplicazione del rapporto educativo”, che rendono impossibile il mantenimento in servizio del dipendente. Esaminando l’operato dei giudici dei primi due gradi di giudizio, e non riscontrando violazioni procedurali né carenze motivazionali, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese.
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