La recente Ordinanza della Corte di Cassazione (Ordinanza del 08/05/24 r.g. n. 10966/23) ha chiarito come la detenzione in carcere del coniuge obbligato al mantenimento non possa ritenersi valido motivo di sospensione del pagamento delle somme dovute, rigettando il ricorso promosso in tal senso del ricorrente.
Il fatto
Il ricorrente proponeva ricorso per Cassazione per veder riformare la pronuncia della Corte di Appello di Catanzaro che, confermando quanto stabilito in primo grado dal Tribunale di Cosenza, aveva disposto l’addebito della separazione a carico del marito – condannato per violenze fisiche e morali inflitte alla moglie – e l’obbligo a suo carico di contribuire al mantenimento dei figli mediante il versamento di una somma mensile.
Le contestazioni
Il ricorso per Cassazione si basava su due contestazioni.
La prima: il ricorrente riteneva che la Corte di Appello avesse errato nel pronunciare l’addebito della separazione a carico del marito senza aver verificato se fossero stati posti in essere da un coniuge ovvero da entrambi comportamenti coscienti e volontari in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e se questi ultimi fossero la causa del determinarsi una situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale.
Infatti, per costante giurisprudenza la pronuncia di addebito della separazione non solo presuppone l’accertamento della violazione dei doveri coniugali, ma anche il nesso causale tra detta violazione e la crisi coniugale.
La seconda: il ricorrente, essendo detenuto in carcere ed ivi non prestando alcuna attività lavorativa, è privo di reddito e pertanto ogni obbligo di mantenimento deve essere sospeso.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione respinge entrambi i motivi di contestazione con le seguenti motivazioni.
Per quanto riguarda la prima contestazione, rileva che le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione, ma anche l’addebito della separazione all’autore di esse.
Il loro accertamento esonera il giudice da effettuare una comparazione sulle violazioni dei doveri coniugali di entrambi i coniugi, ed anche la ipotizzata (e non provata) infedeltà della moglie non può ritenersi una causa di giustificazione, trattandosi di condotte tra loro non bilanciabili, per la gravità della condotta tenuta dal marito.
Tale condotta criminale assume carattere prevalente ed esonera il giudice dal dover verificare se sia o meno la causa della crisi coniugale, dovendo ritenersi la causa dell’irreparabile fine del matrimonio.
Riassumendo, la violenza nei confronti del coniuge è ritenuta non scusabile anche a fronte della eventuale violazione dei doveri coniugali posti in essere dall’altro coniuge e senza dover indagare se la crisi coniugale fosse già in atto per altri motivi.
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte di Cassazione precisa che lo stato di detenzione non esclude né sospende la debenza dell’obbligo contributivo, rilevando semmai solo ai fini dell’aspetto penale del reato.
Anche sotto il profilo penale, peraltro, la scriminante del reato opera solo se l’inadempienza non sia dovuta a colpa del dell’obbligato, il quale dovrà provare di aver fatto quanto possibile per fruire, in regime detentivo, di fonti di reddito lavorativo, presentando domanda di lavoro.
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