Con sentenza 10904/2020 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per stalking per l’imputato che ha continuato a perseguitare l’ex per fare il padre.
La vicenda: perseguita l’ex per fare il padre
Nel primo e secondo grado di giudizio l’imputato viene condannato per atti persecutori (art. 612 bis c.p.) nei confronti della sua ex per averle, con minaccia o molestia, cagionato un perdurante e grave stato di ansia o di paura tale da generare un fondato timore per la propria incolumità, costringendola ad alterare le sue abitudini di vita.
Il ricorso in Cassazione, la richiesta di attenuanti e di risarcimento
L’imputato decide di ricorrere in cassazione sostenendo alcune questioni già sollevate durante i giudizi di merito, dichiarando che la propria condotta non possa integrare il reato di stalking, evidenziando l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e da alcuni testimoni.
Secondo il legale dell’imputato deve essere riconosciuta la scriminante dell’esercizio del suo diritto a fare il padre nei confronti del figlio, motivo che avrebbe spinto l’uomo a commettere gli atti persecutori, inoltre chiede che vengano ridiscusse le attenuanti previste dall’art. 62 n. 1,2 e 5 c.p.
Tra le richieste dell’imputato c’è anche quella di condannare la querelante al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali ai sensi degli artt. 427 e 542 c.p.
La decisione della Cassazione: è stalking perseguitare l’ex per esercitare il ruolo di padre
Ribadito che in sede di legittimità non si possa rileggere fatti già esaminati nei precedenti gradi di giudizio, i giudici della Cassazione ritengono inammissibile questa parte di ricorso, precisando inoltre che le dichiarazioni della persona offesa, in questo caso la ex dell’imputato nonché madre di suo figlio, possono costituire l’unica base decisione per affermare la sua responsabilità penale essendo stata la sua credibilità ed attendibilità valutate con rigore superiore rispetto a quello previsto per i testimoni.
Le condotte vessatorie – che integrano il reato di stalking – sono state dirette unicamente nei confronti della ex, madre del figlio, senza che vi fosse alcun collegamento con la condizione di genitore dell’imputato: pedinamenti, minacce e offese non avevano in alcun modo la finalità di incontrare o essere informato sul bambino.
Gli atti persecutori perpetrati
Secondo quanto raccontato dalla vittima, l’imputato ha effettuato diverse incursioni in casa, danneggiato le vetture della vittima e dei genitori della stessa, l’ha minacciata più volte di morte, ha effettuato numerose chiamate ad ogni ora del giorno e della notte, l’ha pedinata e ha compiuto diversi atti vandalici (come la rottura delle serrature di casa e l’imbrattamento delle mura esterne).
Tutto questo porta il giudice a escludere l’applicazione delle attenuanti generiche previste dall’art. 62 n.1,2 e 5 c.p. (ossia l’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale; l’aver agito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui; l’essere concorso a terminare l’evento insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa) e il risarcimento richiesto dall’imputato.
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