I Giudici della Suprema Corte sono stati chiamati a pronunciarsi sulla validità delle clausole che – nell’ambito di un contratto di mediazione – fanno sorgere l’obbligo del pagamento della provvigione anche dall’ingiustificato rifiuto alla stipula del contratto procurato grazie all’intervento del mediatore (Cass. Civile sentenza n.22357/2010).
Nel caso de quo, X si oppose al decreto ingiuntivo per il pagamento di una somma a titolo di provvigione, chiesto dall’Immobiliare Y a seguito della mancata conclusione, da parte di X, del contratto preliminare di compravendita con Z, che Y aveva rinvenuto come interessato all’acquisto dell’immobile che X intendeva vendere e per la vendita del quale aveva conferito incarico alla società di mediazione, “obbligandosi a pagare comunque la provvigione se l’affare non si fosse concluso per causa imputabile alla volontà della venditrice”.
Il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello, poi, rigettarono l’opposizione.
X ricorse, quindi, in Cassazione deducendo, in primis, la “vessatorietà della clausola prevedente una penale pari alla provvigione mediatoria (in caso di mancata conclusione del contratto per fatto imputabile al Cliente) per gli effetti non già dell’art.1341 c.c. bensì dell’art.1469bis c.c., che considera vessatorie ( e dunque inefficaci ex art.1469 quinquies c.c.) le clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”; inoltre, lamentando che la Corte d’Appello non avesse ritenuto che la predetta clausola desse luogo a squilibrio contrattuale.
Secondo i Giudici della Suprema Corte “nel patto tra proponente e mediatore deve essere chiarito che, in caso di mancata conclusione dell’affare per ingiustificato motivo del proponente, il compenso sarà dovuto per l’attività sino a quel momento espletata e l’adeguatezza del corrispettivo, per l’ipotesi di mancata conclusione dell’affare, dovrà essere apprezzata dal giudice che potrà concludere nel senso del significativo squilibrio delle prestazioni e conseguentemente per l’ inefficacia della clausola ex art.1469quinquies c.c. se il diritto al compenso per il caso di mancata conclusione dell’affare sia fissato in misura indipendente dal tempo per il quale l’attività del mediatore si è protratta prima del rifiuto del preponente”.
I Giudici aggiungono che “se invece il rifiuto di concludere il contratto da parte di chi abbia conferito l’incarico tragga origine dalla sussistenza, originaria o sopravvenuta, di circostanze ostative alla conclusione stessa, di cui la stessa parte abbia omesso di informare il mediatore al momento del patto o cui abbia dato causa successivamente, sarebbe allora configurabile una sua responsabilità per violazione dei doveri di correttezza e buona fede, di cui agli art.1175 c.c. e 1375 c.c.. In casi siffatti, la previsione dell’obbligo di pagare comunque la provvigione o somma equivalente integrerebbe una clausola penale e sarebbe dunque soggetta al diverso apprezzamento di cui all’art.1469bis, comma 2, n.6 c.c. (ora art.33, comma 2, lettera f del Codice del Consumo), concernente la presunzione di vessatorietà delle clausole che, in caso di inadempimento, prevedano il pagamento di una somma manifestamente eccessiva”.
Pertanto, i Giudici sostengono la vessatorietà e quindi la nullità di una clausola che sancisca, a priori, il diritto al compenso anche per un contratto non concluso.
A prescindere dalla previsione contrattuale, il mediatore, nel caso di mancata conclusione del contratto per rifiuto ingiustificato della parte conferente, avrebbe comunque diritto a vedersi corrisposto un corrispettivo per l’attività svolta fino a quel momento ovvero, nel caso in cui il rifiuto di concludere il contratto sia ricollegabile a circostanze ostative preesistenti al patto di mediazione o cui il committente abbia dato causa successivamente, a titolo di responsabilità per violazione dei dovere di correttezza e buona fede.
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