Secondo il codice penale è configurabile come ingiuria offendere l’onore o il decoro di una persona presente: nell’era delle nuove tecnologie e dove tutto è digitale questo vale anche per quando la parte lesa è solo virtualmente presente. A ricordarlo è la Cassazione con sentenza n. 44662/2021 relativa alla condanna per diffamazione di un uomo che tramite i social ha mandato messaggi di insulti in una chat in tempo reale in cui l’insultato era online.
Ingiuria o diffamazione se si insulta qualcuno che è online?
La sentenza impugnata, emessa il 10 febbraio 2020 dalla Corte di appello di Catanzaro, conferma la decisione del Tribunale di Cosenza che condanna il ricorrente per avere diffamato la controparte. La condotta – secondo le sentenze di merito – è consistita nel pubblicare, su una chat intrattenuta tra i due, dei commenti di insulti nei confronti della parte lesa.
Con il ricorso in Cassazione il ricorrente lamenta, tra le altre cose, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione relativa alla qualificazione del reato come diffamazione e non come ingiuria, evidenziando che il ricorrente avrebbe agito in preda a uno stato d’ira legato a un comportamento della parte lesa.
Il ricorso è fondato e viene accolto dalla Cassazione.
Ricorso accolto in Cassazione: cosa dice la giurisprudenza
I giudici di legittimità con sentenza 44662/2021 affrontano il punto cardine della questione legato all’assenza di motivazione con la quale il fatto viene qualificato come diffamazione e non come ingiuria, ritenendo gli Ermellini rilevante la partecipazione della persona offesa alla conversazione incriminata, seppur tenutasi online.
Ingiuria o diffamazione? Cosa dice la giurisprudenza
La Cassazione per affrontare il tema cita la sentenza n.13252/2021, la quale sostiene che:
- l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone;
- l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario;
- se la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione;
- l’offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.
Innanzitutto andiamo a vedere insieme gli articoli del codice penale: secondo l’art. 594 c.p. commette ingiuria “Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa”.
Mentre, in base all’art. 595 c.p., commette diffamazione “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.”
All’interno dell’art. 594 c.p. si parla chiaramente di “persona presente”: per questo la Corte ricorda che per distinguere tra i reati di cui agli artt. 594 e 595 c.p., resta fermo il criterio discretivo della presenza, anche se virtuale, dell’offeso.
Al contrario “dove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione, come la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato quanto, per esempio, all’invio di e-mail (sentenza n. 29221/2011; n. 44980/2012, n. 12603/2017, n. 34484/2018; n. 311/2017; n. 14852/2017).
Mancano le motivazioni del giudice di secondo grado
Nel caso concreto la griglia argomentativa che deve indicare le motivazioni che hanno portato i giudici di secondo grado a condannare per diffamazione e non ingiuria manca, motivo che spinge la Cassazione a rinviare la sentenza impugnata alla Corte d’Appello che dovrà stabilire quale fosse il funzionamento della chat, capendo se il dialogo a distanza tra i due si sia svolto in tempo reale e se la parte lesa fosse virtualmente presente.
Per dovere di completezza si segnala come a partire dal 15/01/16 il reato di ingiuria previsto e punito dall’art. 594 c.p. sia stato abrogato.
Pertanto, nel caso in cui i Giudici dovessero escludere la realizzazione del reato di diffamazione per i motivi di cui sopra, l’imputato sarà comunque mandato assolto, non potendo più rispondere del reato di ingiuria per intervenuta abrogazione della fattispecie penale in questione.
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