Se una dipendente raggiunge l’età pensionabile, ma vuole continuare a lavorare, può farlo? E se la licenziano, la scelta è giustificata? È ciò su cui ci interroghiamo oggi.
Età pensionabile e licenziamento: come funziona in Italia?
In Italia il recesso da parte del datore di lavoro deve essere sorretto da una giustificazione; il recesso acausale costituisce un’eccezione.
Ed infatti, il licenziamento ad nutum (ossia senza alcuna motivazione) è ammesso durante il periodo di prova, nel lavoro sportivo, a domicilio o domestico, nonché nel caso di lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici di vecchiaia.
La riforma pensionistica del 2012 ha introdotto una norma che consente ai lavoratori (e lavoratrici) di proseguire l’attività anche oltre i nuovi requisiti di età anagrafica previsti per la pensione di vecchiaia e fino ai 70anni. Il legislatore ha poi previsto che le disposizioni dell’art.18 si applichino sino al raggiungimento del predetto limite massimo di flessibilità. Il legislatore ha, quindi, di fatto introdotto 2 distinti discipline per il recesso ad nutum del lavoratore in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia:
- i dipendenti in forza presso datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti possono proseguire fino ai 70anni e sino a tale età sono tutelati contro i licenziamenti senza giustificazione;
- i dipendenti in forza presso datori di lavoro che occupano fino a 15 dipendenti possono essere licenziati al raggiungimento dei requisiti pensionistici, ossia all’età pensionabile dell’uomo senza poter scegliere di proseguire il lavoro fino a 70anni.
Tale norma ha subito varie interpretazioni nei vari gradi della giustizia.
Le Sezioni Unite, però, sono intervenute sul punto: l’art.24, comma 4, del D.L n.201/2011 convertito nella Legge n.214 non riconosce al lavoratore un diritto soggettivo di natura potestativa. Cosa significa? Che il proseguimento della prestazione lavorativa dipende da un accordo raggiunto con il proprio datore di lavoro e non solo dalla volontà del lavoratore a proseguirlo.
Ma, quindi, cosa significa, la norma che tutela il lavoratore che prosegue il rapporto di lavoro fino ai 70 anni contro il licenziamenti senza giustificazione?
Essa non è altro, dice la Cassazione, che la tutela accordata nelle imprese che occupano più di 15 dipendenti a quei lavoratori che – previo accordo con il datore di lavoro – proseguono nel rapporto: in tal caso il soggetto interessato gode di tutte le tutele e le garanzie previste a fronte di un provvedimento di recesso ingiustificato.
Recentemente, la Cassazione è nuovamente intervenuta sull’argomento confermando la legittimità del licenziamento di una dipendente che, raggiunta l’età della pensione, richieda l’autorizzazione a continuare a lavorare.
E’ il caso di una dipendente 65enne che, tagliato il traguardo dell’età per poter finalmente concludere la propria attività lavorativa in banca, non ha nessuna intenzione di farlo e non accetta un no come risposta.
Il caso: dipendente agguerrita non vuole “mollare” il posto
La dipendente di una banca ha proposto ricorso in Cassazione contro la sentenza del Tribunale prima e della Corte d’appello poi, che dichiarano legittimo il suo licenziamento avvenuto a seguito del rifiuto alla sua richiesta di proseguire il rapporto oltre il raggiungimento del 65esimo anno d’età, rigettando anche la domanda risarcitoria per danno esistenziale, morale e alla salute che la donna avrebbe subito in seguito al licenziamento.
Il ricorso rigettato
La ricorrente propone allora ricorso in Cassazione che, però, lo dichiara inammissibile giudicando i motivi su cui si basa generici e apodittici (senza bisogno di dimostrazioni). Inoltre i giudici di legittimità rilevano l’improcedibilità del ricorso per il mancato deposito contratto collettivo di settore, più volte richiamato nell’atto.
La richiesta della revocazione della sentenza di Cassazione
La dipendente, in seguito all’ennesimo diniego, avanza la revocazione della sentenza n.6986/2018 della Cassazione dichiarandola illegittima da un lato poiché il ricorso precedentemente da lei presentato aveva tutti i requisiti per essere ritenuto ammissibile, e dall’altro per sussistenza del vizio revocatorio per l’errata interpretazione della Corte d’Appello della normativa in materia pensionistica la quale riconosce al lavoratore di poter optare per il proseguimento del rapporto anche se ha raggiunto l’età pensionabile.
Richiesta inammissibile, licenziamento legittimo
Giunti a questo punto la Cassazione si pronuncia una seconda (con sentenza 18372/2020) volta ritenendo inammissibili entrambi i motivi a base della richiesta, non idonea a integrare errore revocatorio. Il ricorso va così dichiarato inammissibile considerato che le “critiche alla sentenza della Cassazione formulate dalla ricorrente investono l’errata interpretazione delle proprie ragioni e non sono invece basate su una svista precettiva immediatamente percepibile delle stesse da parte del giudice di legittimità, che sola può dar luogo all’errore di fatto che giustifica il ricorso al rimedio di revocazione”.
Il licenziamento della dipendente che ha raggiunto l’età pensionabile, pertanto, è da ritenersi legittimo.
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