Tra le ipotesi di estinzione del rapporto di lavoro si segnalano, in quanto spesso fonte di controversia legale, i due casi di: A) recesso del lavoratore; B) recesso del datore di lavoro
Nella prima ipotesi siamo di fronte a delle dimissioni, nella seconda ad un licenziamento.
A) Dimissioni: costituiscono l’esercizio di una facoltà riconosciuta al lavoratore, vale a dire quella di risolvere il rapporto il lavoro in qualunque momento con il solo limite del preavviso. Si tratta di un atto volontario del lavoratore che non deve essere viziato nella sua formazione.
Sono viziate le dimissioni:
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i) sollecitate dal datore di lavoro attraverso minaccia, ad esempio, di licenziamento o di denuncia penale;
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ii) determinate da un motivo poi rivelatosi errato, ad esempio, presunto raggiungimento del diritto alla pensione;
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iii) rassegnate in situazioni di incapacità di intendere e di volere, ad esempio, nel caso di forte turbamento che abbia provocato una patologica alterazione mentale del lavoratore.
Nelle suddette ipotesi le dimissioni sono viziate e perciò invalide ed annullabili.
Da non confondersi con le minacce da parte del datore di lavoro è il diverso e legittimo caso di dimissioni incentivate. In tale ipotesi vengono infatti favorite le dimissioni volontarie del dipendente, da rassegnarsi entro un termine stabilito, dietro erogazione di un incentivo economico.
B) Licenziamento: problemi più significativi, in termini di tutela, possono verificarsi in questa seconda ipotesi. Il licenziamento infatti, per essere legittimo, deve trovare fondamento in un motivo socialmente giustificato, dipendente: i) dalla condotta del lavoratore (c.d. licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo);
ii) da ragioni legate allattività produttiva o allorganizzazione del lavoro (licenziamento per giustificato motivo oggettivo).
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i) Giusta causa: l’art. 2119 Cod. Civ. la individua in un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, quali, ad esempio: furto sul luogo di lavoro; alcune ipotesi di condanna a pene detentive per reati commessi anche al di fuori del posto di lavoro; calunnie all’indirizzo del datore di lavoro, idonee a lederne sul piano morale l’immagine; rifiuto ingiustificato del trasferimento. In tale ipotesi il datore di lavoro può licenziare in tronco, senza obbligo di alcun preavviso.
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Giustificato motivo soggettivo: ai sensi dell’art. 3 L. n. 604/1966 tale ipotesi di licenziamento è rappresentata da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, tuttavia non così grave da rendere impossibile la prosecuzione provvisoria del rapporto. Ne consegue che il datore di lavoro è tenuto a concedere il preavviso. Premesso che si tratta di ipotesi che devono necessariamente essere considerate caso per caso, valutandone singolarmente la gravità, alcuni esempi posso comunque essere individuati nell’assenza ingiustificata dal lavoro, nell’utilizzo del telefono cellulare aziendale per fini personali, infrazioni persistenti e reiterate quali il rifiuto della prestazione di fronte all’assegnazione di mansioni equivalenti.
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ii) Giustificato motivo oggettivo: il citato art. 3 L. n. 604/1966 lega, inoltre, a ragioni inerenti l’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Tale ipotesi deriva pertanto da fatti che prescindono dalla condotta del lavoratore, quali ad esempio: il riassetto organizzativo dell’azienda, effettivo e non pretestuoso; oppure impossibilità di ricollocazione, nelle stessa sede o in altra diversa, del dipendente in mansioni equivalenti.
Se il licenziamento è stato comminato al di fuori delle predette ipotesi può essere oggetto di impugnativa, la quale dovrà essere proposta secondo una specifica procedura.
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