Per il Tribunale di Venezia nel caso di morosità causata dal lockdown non si può attuare lo sfratto, ma bisogna trovare un accordo, riducendo il canone d’affitto.
I mesi di lockdown, oltre ad essere stati difficili per tutti coloro che hanno dovuto passare settimane chiusi in casa senza poter mai uscire con tutto ciò che questo comporta, hanno messo in ginocchio numerose attività economiche che sono state costrette a chiudere.
Altre, pur con “l’acqua alla gola”, sono riuscite a riaprire con difficoltà dovendo far fronte, oltre al guadagno mancato, anche ai molti debiti accumulati durante i mesi di chiusura.
È il caso del proprietario di un bar che non è riuscito a pagare il canone d’affitto dei mesi di chiusura e si è visto citare in giudizio. Ma per il Tribunale di Venezia niente sfratto per la morosità causata dal lockdown, bisogna trovare un accordo.
Non paga il canone d’affitto durante il lockdown e viene citato in giudizio
Il proprietario dell’immobile affittato intima al proprietario lo sfratto per morosità non avendo egli pagato l’affitto per un ammontare complessivo di 6.800 euro. Il convenuto, chiamato in giudizio, si oppone allo sfratto dichiarando che la propria morosità era dipesa esclusivamente dall’impossibilità di utilizzare l’immobile a causa delle restrizioni imposte dalla normativa sanitaria in materia di Covid.19.
L’esame del Tribunale
Il Tribunale di Venezia, esamina che:
- fino a febbraio 2020 compreso, il convenuto è stato puntuale nei pagamenti;
- la morosità si riferisce solo alle mensilità in cui il convenuto non ha potuto esercitare l’attività commerciale a causa del lockdown imposto per la pandemia in corso;
- per il periodo in cui l’attività commerciale è stata chiusa non si può parlare di un’impossibilità assoluta di godimento dell’immobile, ma di una impossibilità soltanto parziale, dal momento che l’unità immobiliare è rimasta pur sempre nella disponibilità della conduttrice ed è stata utilizzata quantomeno con funzione di ricovero delle attrezzature e delle materie prime relative all’attività di ristorazione;
Premesso tutto questo, secondo il giudice si deve dunque parlare di impossibilità parziale temporanea, che giustifica nei contratti a prestazioni corrispettive o la riduzione della controprestazione o il recesso (artt. 1256, 1258 e 1464 c.c.). Viene ritenuto pertanto necessario, con riferimento al periodo da marzo a maggio, determinare una riduzione del canone di locazione considerata l’intenzione del convenuto di proseguire la propria attività lavorativa nell’immobile e non avendo alcuna intenzione di recedere dal contratto.
La decisione: niente sfratto per morosità causata dal lockdown
Il Tribunale di Venezia con ordinanza n. 5480/2020 del 28 luglio 2020 ritiene che la sussistenza della morosità, più che ad una reale volontà di non adempiere, sia dovuta all’effettiva contingenza derivante dall’emergenza sanitaria e dalla connessa normativa restrittiva. Quindi, osservato che alla luce di quanto si è rilevato, sussistono gravi motivi ostativi all’emissione dell’ordinanza di rilascio dell’immobile, anche in ragione della necessità di preservare la continuità dell’attività aziendale, che sino all’inizio dell’emergenza sanitaria era ben avviata, e i posti di lavoro che essa può garantire.
Per questo motivo il giudice rigetta l’istanza di rilascio dell’immobile avanzata dall’attore e assegna alle parti 15 giorni di tempo per introdurre il procedimento di mediazione obbligatoria al fine di trovare un accordo tra le parti, circa la rideterminazione del canone. In caso di esito negativo, spetterà al Giudice pronunciarsi in merito, a conclusione della causa che verrà instaurata esaurita la procedura di mediazione.
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