Niente gratuito patrocinio per l’imputato legato alla mafia

La Cassazione nel caso di oggi si trova a ribadire che se un imputato è stato condannato per reati legati ad associazioni di tipo mafioso non ha diritto al gratuito patrocinio a meno che non riesca a dimostrare con apposita documentazione la propria situazione di indigenza economica.

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La Cassazione non riconosce la condizione di indigenza

Il caso di oggi è arrivato in Cassazione dopo che il Tribunale di Sassari ha rigettato l’opposizione presentata dall’imputato contro il decreto di inammissibilità dell’istanza per ottenere il gratuito patrocinio, destinato ai non abbienti, risultando l’imputato condannato per reati compresi tra quelli indicati dagli art. 76, comma 4-bis d.P.R. n.155/2020 (legati al mondo mafioso e della criminalità organizzata di stampo mafioso), reati in relazione a questi reati “vige una presunzione legale di superamento del limite reddituale stabilito ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato: presunzione che può essere vinta solo con prova contraria, non fornita nel caso specifico”.

La difesa richiede il gratuito patrocinio

La difesa lamenta “che la decisione impugnata – con la quale si nega il gratuito patrocinio all’imputato – non tiene conto che l’imputato aveva depositato atti dimostrativi della sua condizione di indigenza economica e di assenza di collegamenti con il sodalizio criminoso di provenienza” desumibile dallo stato di detenzione in regime speciale stabilito dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario. Il procuratore chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile, richiesta accolta dalla Cassazione che ne riconosce l’inammissibilità.

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Ammissibilità del ricorrente al gratuito patrocinio

I giudici di legittimità, con sentenza n. 29469/2020, tornano sul tema di ammissibilità del ricorrente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per non abbienti in relazione a condanne per mafia.

Nello specifico i giudici di legittimità riconoscono che l’imputato rientra nella “categoria di soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli art. 416 bis del codice penale – associazione di tipo mafioso – e collegati, per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo”. In relazione a questo genere di soggetti e per i reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti (come stabilito dall’art. 76, comma 4-bis d.P.R. n.155/2020) vigendo la presunzione relativa di superamento del reddito massimo ai fini dell’ammissione al patrocinio gratuito.

Si può “aggirare” il problema?

Al fine di vedersi riconosciuta l’ammissione al gratuito patrocinio il ricorrente avrebbe dovuto allegare nella documentazione consegnata alla Corte concreti elementi in merito alle sue condizioni economico-patrimoniali idonei a consentire il superamento della citata presunzione relativa. Questo onere, riconoscono i giudici, nel caso concreto non è stato assolto in nessun grado di giudizio se non con una documentazione che non ha offerto nessun tipo di prova a sostegno della tesi di asserita povertà.

Sulla base di queste considerazioni il ricorso viene dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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