L’art. 33, comma 3, L. n.104/1992, nel testo modificato dal c.d. Collegato lavoro, prevede che: “a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di 3 giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”. Il permesso mensile retribuito di 3 giorni lavorativi, ex art. 33, comma 3, L.n.104/1992, spetta, quindi, ad una platea ristretta di lavoratori (lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado). Solo in particolari situazioni questa agevolazione potrebbe essere estesa ai parenti e agli affini di terzo grado.
Il Tribunale di Livorno, chiamato a decidere sul diritto di una parte ad usufruire dei permessi di assistenza di cui all’art. 33, comma 3, L. n.104/1992, con ordinanza del 15/09/2014, sollevava questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione normativa, per violazione degli art. 2,3 e 32 della Costituzione.
Ed infatti, “ad avviso del Giudice remittente, la norma censurata nell’escludere dal novero dei possibili beneficiari dei permessi retribuiti il convivente more uxorio, si porrebbe in contrasto con l’art. 2 Cost. in quanto non consentirebbe alla persona affetta da handicap grave di beneficiare della piena ed effettiva assistenza nell’ambito di una formazione sociale che la stessa ha contribuito a creare e che è sede di svolgimento della propria personalità; con l’art. 3 Cost., unitamente agli art. 2 e 32 Cost., poiché darebbe luogo ad una irragionevole disparità di trattamento, in punto di assistenza da prestarsi attraverso i permessi retribuiti, tra il portatore di handicap inserito in una stabile famiglia di fatto e il soggetto in identiche condizioni facente parte di una famiglia fondata sul matrimonio. Tale diversità, infatti, non troverebbe ragione nella ratio della norma che è quella di garantire attraverso la previsione delle agevolazioni, la tutela della salute psico-fisica della persona affetta da handicap grave ex art. 32 Cost. nonché la tutela della dignità umana e quindi dei diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 Cost., beni primari non collegabili geneticamente ad un preesiste rapporto di matrimonio ovvero di parentela o affinità”.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 213 del 23 Settembre 2016 ha ritenuto la questione fondata in quanto “la norma in questione, nel non includere il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito, viola gli invocati parametri costituzionali risolvendosi in un inammissibile impedimento all’effettività dell’assistenza e dell’integrazione”.
Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, quindi, anche i conviventi more uxorio hanno diritto a 3 giorni di permesso retribuito al mese per assistere un familiare affetto da grave handicap.
Per una consulenza legale: info@iltuolegale.it – 02 94088188
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato.