Denuncia il marito 12 volte ma lui poi la uccide: condannati i pm che non lo hanno fermato
In un’epoca in cui aprendo il giornale è più probabile leggere di un nuovo caso di femminicidio che il meteo del giorno, questa triste storia fa riflettere sull’importanza che è necessario dare ad ogni singola denuncia e ad ogni storia riportata. Nonostante avesse denunciato il marito per 12 volte, la donna, priva di protezione, è stata uccisa dall’uomo.
Lei lo denunciò 12 volte ma lui riuscì comunque ad ucciderla
La vittima, Marianna Manduca, aveva trentasei anni quando il 4 ottobre 2007 venne uccisa a Palagonia (Catania) con sei coltellate al petto ed all’addome dall’uomo che aveva giurato di amarla, già da lei denunciato 12 volte nel corso degli anni. Poco prima di essere uccisa la donna chiedeva aiuto alla procura di Caltagirone “mi ha minacciato con un coltello, non so più che devo fare: aiutatemi”. Negli ultimi sei mesi di vita, nonostante le molteplici denunce, i pm non diedero l’adeguata importanza alla situazione denunciata dalla donna, tanto che alla fine l’uomo riuscì ad ucciderla (venendo successivamente condannato ad anni 20 di carcere).
Il processo nei confronti dei magistrati
A seguito della morte della donna, un suo lontano cugino (che adottò i tre figli della coppia) ha intentato l’azione legale nei confronti della procura di Caltagirone, per l’inerzia avuta dai magistrati nell’affrontare il caso.
Il processo ha inizialmente dovuto passare un giudizio di ammissibilità, richiesto proprio poiché avente ad oggetto la responsabilità dei magistrati. L’ammissibilità della richiesta viene inizialmente rifiutata dal tribunale di Messina, poi dalla Corte d’appello fino alla Cassazione che invece si pronuncia con il verdetto opposto, accogliendo la richiesta. Grazie a questa decisione il processo prende avvio fino a che la Corte d’appello di Messina nel 2017 condanna i tre giudici messinesi, riconoscendo il danno patrimoniale e condannando la presidenza del Consiglio dei ministri al risarcimento di Euro 260,000.000, riconoscendo l’inerzia dei magistrati a seguito di una lunga trafila giudiziaria. È stata così riscontrata la responsabilità della magistratura negli ultimi sei mesi di vita di Marianna.
Nella sentenza i giudici palermitani hanno riconosciuto il danno patrimoniale derivato dal fatto che i tre figli non potranno più godere dello stipendio della madre (il padre al momento dell’omicidio era disoccupato e tossicodipendente). Il ricorrente, cugino della vittima, ha commentato dichiarando “Siamo parzialmente soddisfatti, ricorreremo in appello: c’è un danno morale che a Messina non è stato riconosciuto soltanto perché all’epoca la legge sulla responsabilità della magistratura era diversa ma non è un caso che sia stata modificata e che non riguardi più soltanto la limitazione della libertà personale”.
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