Salario minimo, cosa dice la Cassazione

È ormai da tempo che partiti politici di destra e di sinistra parlano del famoso “salario minimo” e nonostante gli anni passino una soluzione politica al problema di chi prende 3,50 € all’ora ancora non è stata trovata. A cercare di risolvere la complicata situazione ci pensa però la Cassazione che in una recente sentenza ha fatto riferimento alla Costituzione per stabilire un importante principio.

Salario minimo: il caso arrivato in Cassazione

Al centro della questione esaminata dai giudici di legittimità vi è la storia di un dipendente di una cooperativa che si occupa di vigilanza nei supermercati, rivoltosi alla Corte lamentando la non conformità all’art. 36 della Costituzione del suo Contratto collettivo nazionale di lavoro. Nello specifico il CCNL a lui applicato prevedeva una tariffa oraria quasi misera, anche se paradossalmente legale.

 In Appello i giudici avevano riconosciuto il primato della contrattazione collettiva rispetto al principio costituzionale invocato dal dipendente, secondo cui “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.). Ma per la Cassazione la priorità va indiscussamente data al dettato costituzionale, volto a garantire a tutti i lavoratori uno stipendio che garantisca dignità alla vita.

Cosa dice la Cassazione sul salario minimo

Nella sentenza n. 27711/2023 gli Ermellini parlano della necessità di un minimo salariale che superi quanto disposto dalla contrattazione collettiva sindacale, se quest’ultima si rivela essere lesiva o poco tutelante della dignità lavorativa dei dipendenti. I giudici stabiliscono che “risulta che nel nostro ordinamento una legge sul salario legale non si possa realizzare attraverso un rinvio in bianco alla contrattazione collettiva; posto che il rinvio va inteso nel quadro costituzionale che impone un minimum”.

Come fissare il salario minimo

Esaminato il caso concreto, i giudici non possono fermarsi a quanto stabilito dal CCNL ma devono garantire una più ampia tutela al dipendente. Per farlo, spiega la Corte, il giudice può riferirsi a contratti collettivi di settori affini che, però, garantiscono un minimo salariale adeguato.

Inoltre, come disposto dalla direttiva europea del 2022, il giudice può riferirsi a indicatori economici e statistici precisi per individuare la retribuzione minima adeguata al caso, applicando la direttiva 2022/2041 che vuole raggiungere l’obiettivo grazie al quale i salari non solo devono far uscire dalla povertà i lavoratori ma anche consentire loro di partecipare ad attività culturali, educative e sociali.

In sostanza, spiegano i giudici, con lo stipendio non si deve solo sopravvivere, si deve vivere.

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