Salario minimo: pagare troppo poco è anticostituzionale

Nel corso dell’ultima campagna elettorale da destra a sinistra quasi tutti i candidati hanno parlato di salario minimo e della necessità di istituirlo anche in Italia, come suggerito – peraltro – dall’Unione Europea. Una necessità che si fa sempre più pressante, specialmente per lavori spesso non adeguatamente tutelati dai contratti collettivi nazionali. Sul tema si è recentemente espresso anche il Tribunale di Milano con una sentenza che rimescola le carte in tavola e che spinge la politica ad interrogarsi sulla questione.

Nello specifico, i giudici hanno stabilito che pagare una lavoratrice neanche 4 euro all’ora (3,96 euro, per la precisione) non solo è sbagliato, ma è anche incostituzionale.

Salario minimo: quando è anticostituzionale

Immaginatevi di lavorare otto ore e di guadagnare 31,68 euro al giorno, 633,6 euro al mese: a Milano non ci paghereste neppure lontanamente l’affitto di un monolocale. Senza considerare che è una soglia persino inferiore a quella di povertà – stimata dall’Istat a 840 euro – e a quella del reddito di cittadinanza.

Ed è stato proprio il Tribunale di Milano, infatti, che ha deciso di mettere fine a questo iniquo trattamento economico subito da una vigilante, evidenziando ciò che era già sotto gli occhi di tutti: pagare così poco un dipendente è assolutamente anticostituzionale.

Nello specifico i giudici hanno accolto la richiesta di una dipendente di una società di vigilanza di Padova, affermando che il suo trattamento economico era contrario a quanto stabilito dall’articolo 36 della Costituzionale, il quale prevede chiaramente che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Condannato il datore di lavoro

Nella sentenza i giudici di primo grado hanno condannato il datore di lavoro (ossia la società di vigilanza) a pagare un risarcimento alla dipendente pari a 372 euro lordi per ogni mese lavorato (ossia 6.700 euro totali). Il calcolo è stato fatto basandosi sullo stipendio percepito dalla donna e quello che avrebbe preso se fosse stata assunta per un servizio di portierato, con un contratto collettivo differente.

Va evidenziato, infatti, che l’azienda pagando così poco la dipendente stava paradossalmente rispettando i limiti di paga stabiliti dal contratto collettivo nazionale di riferimento, ossia quello per i Servizi fiduciari (sottoscritto sia da Cgil che da Cisl). Con la sua pronuncia il Tribunale milanese ha disposto la nullità degli articoli del CCNL che trattavano la paga, creando così un “pericoloso” (ma indubbiamente necessario) precedente.

Salario minimo: nullo il CCNL

La sentenza di primo grado, come poco sopra accennato, porta ad interrogarsi sulla necessità effettiva di un salario minimo stabilito per legge. Dopo questa pronuncia, che in ogni caso potrà sempre essere impugnata dal datore di lavoro, la possibilità che molti dipendenti sottopagati decidano di fare causa per vedersi risarciti del mancato ma legittimo guadagno è molto concreta, e questa volta – come spesso accade – la giurisprudenza è dalla loro parte, anticipando ancora la politica.

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