Non tutti i maltrattamenti di animali sono uguali: ci sono alcuni caratterizzati da violenza fisica e dolore, altri da incuria e abbandono. Per questo motivo il legislatore ha previsto il reato di abbandono di animali anche quando si tratta di una grave incuria “domestica”, stabilendo che essa può giustificare un sequestro preventivo. Nella sentenza n. 30369/2024 la Cassazione ha confermato una sentenza di condanna per abbandono di animali emessa nei confronti di una proprietaria molto “distratta”.
Sequestro cani per abbandono di animali: il caso
Con decreto di sequestro preventivo, il Gip del Tribunale di Vicenza decide di sequestrare tre cani di proprietà della ricorrente, accusata di abbandono di animali (di cui all’art. 727 c.p.), dopo aver appurato che gli animali erano detenuti in “condizioni incompatibili con le esigenze minime, in condizione di abbandono, scarsa igiene, incuria nella somministrazione dell’acqua e nella cura delle malattie”.
Nel suo ricorso la ricorrente sostiene che in giudizio non sia stata acquisita la relazione del medico veterinario intervenuto sul posto e incaricato di descrivere lo stato di salute e di detenzione dei cani, il quale aveva indicato l’assenza di zecche, la loro buona massa muscolare e le unghie adeguatamente lunghe dei cani. Parametri che, secondo la ricorrente, avrebbero attestato lo stato di benessere degli animali ma che, per la Cassazione, in alcun modo possono influenzare la decisione di sequestrare gli stessi.
La decisione della Cassazione
Per la Cassazione la scelta del Tribunale di sequestrare i cani è correttamente sorretta da elementi puntuali e coerenti, essendo “stato accertato dai militari intervenuti sul posto uno stato di sporcizia e di sostanziale abbandono in cui si trovavano i tre cani di proprietà dell’indagata, detenuti in condizioni non compatibili con le esigenze minime che debbono essere assicurate agli animali domestici”.
Il giudice di secondo grado per assumere la propria decisione per i giudici di legittimità ha correttamente richiamato i due accessi effettuati dai militari grazie ai quali sarebbero emerse modalità di detenzione degli animali in un contesto caratterizzato da “precaria igiene, deiezioni diffuse non rimosse, cibo sparso sul terreno, incuria nella somministrazione dell’acqua da bere, lasciati soli per molte ore e in casa o in uno spazio esterno angusto e pieno di rifiuti”.
Cosa dice la Cassazione sull’abbandono di animali
Richiamando la precedente giurisprudenza di legittimità la Cassazione, nell’emettere la propria pronuncia, ricorda che ai fini della configurabilità del reato di abbandono di animali “la detenzione in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell’animale, ma anche in quella che produce meri patimenti, in quanto non è necessaria la ricorrenza di situazioni quali la malnutrizione e il pessimo stato di salute degli animali, ma rilevano tutte quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurando dolore e afflizione ( sent. n. 46560/2015) compresi comportamenti colposi di abbandono e incuria (sent. n. 49298/2012)”.
Inoltre, il giudice di secondo grado nella propria sentenza (pur non richiamando la relazione veterinaria poiché non presente nel fascicolo al momento della pronuncia) ha richiamato l’annotazione della Polizia giudiziaria e la relazione dell’Enpa effettuate a seguito di sopralluogo, con le quali venivano descritte le pessime condizioni di detenzione degli animali sequestrati, essendo descritta una grave situazione igienico- sanitaria e di salute degli animali malati.
Per tutti questi motivi, il ricorso della ricorrente viene ritenuto inammissibile e viene confermata la sentenza di condanna per abbandono di animali nei confronti della proprietaria.
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