I Giudici della Corte di Cassazione sono stati chiamati, ancora una volta, a intervenire per disciplinare le condizioni di separazione tra due coniugi.
Nel caso de quo, il Tribunale pronunciava sentenza di separazione con addebito al marito, revocava l’assegno per i figli maggiorenni della coppia posto a carico del marito con l’ordinanza presidenziale e prevedeva che fosse attribuito un assegno di mantenimento a favore della moglie alla quale, infine, assegnava l’uso esclusivo della casa familiare appartenente al coniuge.
Avverso tale sentenza, il marito proponeva appello principale chiedendo il rigetto della domanda di addebito, nonché la revoca dell’assegno per la moglie e dell’attribuzione alla stessa della casa familiare; a sua volta la moglie, oltre a resistere al gravame del coniuge, proponeva appello incidentale per ottenere l’aumento dell’assegno per sé ed il riconoscimento del contributo per il mantenimento della figlia delle parti.
La Corte di Appello, in parziale accoglimento dell’appello principale revocava l’assegnazione della casa familiare alla moglie, respingendo l’appello incidentale.
Avverso questa sentenza la moglie proponeva ricorso per cassazione al quale resisteva con controricorso il marito.
Tra i motivi di gravame, in particolare, la moglie eccepiva “violazione e/o falsa applicazione della norma di cui all’art. 148 c.c. ossia del principio di diritto che impone al genitore che voglia disassoggetarsi all’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, di provare la colpa di quest’ultimo nel procurarsi il reddito e/o l’autosufficienza.”
Quest’ultima, quindi, contestava la decisione della Corte nella parte in cui escludeva “il diritto della figlia al mantenimento paterno per (il solo fatto di) non aver ella ottenuto il titolo né essersi altrimenti procurata la autosufficienza economica e senza avere (la Corte) tenuto conto di quanto (pacificamente) allegato, in primo e secondo grado, dalla madre, circa lo stato di avanzamento degli studi della figlia e circa la riconducibilità del ritardo nel completamento degli studi ai disagi sofferti a causa della crisi familiare”.
I Giudici della Suprema Corte chiamati a rispondere al predetto quesito hanno precisato che “non è dovuto l’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne non autosufficiente, allorché egli sia ultratrentenne, dotato di patrimonio personale e svolga gli studi universitari in luogo diverso dalla sede di residenza, senza aver ingiustificatamente né conseguito il titolo, né essersi procurato un’occupazione remunerativa”.
Si rileva come la giurisprudenza sia ormai costante da tempo nel ritenere che la sussistenza o meno dell’obbligo di mantenimento del genitore nei confronti dei figli sia ancorato al raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte di questi ultimi ovvero alla circostanza per cui il mancato conseguimento dell’indipendenza economica sia riconducibile a colpa.
Se il figlio, per colpa, quindi, non acquisisce piena autonomia, avendone la possibilità e la capacità, il genitore, fornendo la prova di tale colpa, potrà essere liberato dall’obbligo di contribuire al mantenimento.
Ed infatti:
“l’obbligo di mantenimento non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età ma persiste finché il genitore, o i genitori interessati, dimostrino che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica ovvero che è stato da loro posto nelle condizioni per essere autosufficiente. Tale principio, rapportato alla tematica relativa alla ripartizione dell’onere della prova, comporta che il conseguimento dell’indipendenza economica si configura quale fatto estintivo di un’obbligazione “ex lege” onde spetta al genitore che deduca la cessazione del diritto del figlio ad essere mantenuto dimostrare che questi è divenuto autosufficiente ovvero che il mancato svolgimento di un’attività lavorativa dipenda da un suo atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato di un lavoro compatibile con le sue attitudini, non già all’altro genitore (o al figlio) dimostrare il persistere dello stato di insufficienza economica”.
Ed infine, si rende noto che a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs n.154 del 28/12/2013 è stato abrogato l’art. 155quinquies c.c. – rubricato “disposizioni in favore dei figli maggiorenni”, le cui disposizione sono state trasportate all’art. 337septies c.c., il quale sancisce che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”.
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