Sull’attività di controllo del datore di lavoro

Uno degli aspetti più controversi della normativa sul potere di controllo esercitabile sui lavoratori concerne i controlli a distanza effettuati tramite impianti audiovisivi o altre apparecchiature, incluse quelle elettroniche o informatiche.

Tale materia è disciplinata dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori il quale afferma che è vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna […].”

In linea di massima, le informazioni raccolte tramite questa forma di controllo non possono essere utilizzate dal datore di lavoro per farne la base di una sanzione disciplinare; tale divieto, però, conosce un’importante eccezione,  quella del “controllo difensivo”, ossia quel controllo posto in essere dal datore di lavoro al fine di individuare condotte illecite poste in essere dal lavoratore.

I Giudici della Suprema Corte (sentenza n. 10955/2015) sono stati chiamati ancora una volta ad affrontare il tema dell’utilizzo in giudizio delle prove acquisite mediante strumenti di controllo a distanza diretti a verificare le condotte illecite dei dipendenti.

Nel caso che ci occupa, un lavoratore è ricorso all’Autorità Giudiziaria al fine di far dichiarare l’illegittimità di un licenziamento intimato per giusta causa, ossia “per essersi intrattenuto con il suo cellulare a conversare su facebook in orario di lavoro”: in particolare, l’accertamento di tale condotta era stato reso possibile attraverso la creazione da parte del responsabile del personale di un falso profilo di donna su facebook.

Il Tribunale di Lanciano, adito in primo grado, accoglieva l’impugnativa di licenziamento mentre la Corte d’Appello, adita in secondo grado, la rigettava in quanto riteneva provati i fatti addebitati al lavoratore e, in particolare, che “l’accertamento compiuto dalla società datrice di lavoro delle conversazioni via internet intrattenute dal lavoratore con il suo cellulare nei giorni e per il tempo indicato – accertamento reso possibile attraverso la creazione da parte del responsabile del personale di un falso profilo di donna su facebook – non costituisse violazione dell’art. 4 della Legge n.300/1970 in difetto dei caratteri della continuità, anelasticità, invasività e compressione dell’autonomia del lavoratore, nello svolgimento della sua attività lavorativa, del sistema adottato dalla società per pervenire all’accertamento dei fatti”.

Contro tale sentenza il lavoratore proponeva, poi, ricorso per Cassazione lamentando la “violazione e la falsa applicazione dell’art.4 Legge n.300/1970, dell’art. 18, comma 4° legge n.300/1970 e dell’art. 1175 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1,  n.3 c.p.c. per non essersi dichiarato inutilizzabile il controllo a distanza operato sul lavoratore senza la preventiva ed indispensabile autorizzazione” ed assumendo che “lo stratagemma adoperato dall’azienda per accertare le sue conversazioni telefoniche via internet durante l’orario di lavoro costituisse forma di controllo a distanza vietato dall’art.4 dello Statuto dei Lavoratori, trattandosi, peraltro, di un comportamento di rilievo penale, oltre che posto in violazione dei principi di correttezza e buono fede ex art. 1175 c.c.”.

La Corte ha però ritenuto infondato il motivo e respinto l’impugnativa del lavoratore in quanto, secondo i Giudici “il datore di lavoro ha posto in essere attività di controllo che non ha avuto ad oggetto l’attività lavorativa più propriamente detta ed il suo esatto adempimento ma l’eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, poi effettivamente riscontrati […]. Il controllo difensivo era dunque destinato a riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale, sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti. Si è trattato di un controllo ex post sollecitato dagli episodi occorsi nei giorni precedenti e, cioè, dal riscontro della violazione da parte del dipendente della disposizione aziendale che vieta l’uso del telefono cellulare e lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di servizio”.

I Giudici enunciano, quindi, il principio della “tendenziale ammissibilità dei controlli difensivi occulti, anche ad opera di personale estraneo all’organizzazione aziendale, in quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo” ma, aggiungono, perché tale attività sia ritenuta lecita deve essere svolta “modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti con le quali l’interesse del datore di lavoro al controllo ed alla difesa dell’organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi, e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale”.

Si ricorda che l’inosservanza dell’art.4 dello Statuto dei Lavoratori è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38 dello Statuto dei Lavoratori ossia “con un ammenda da Euro 154,00 ad Euro 1.549,00 o con l’arresto da 15 giorni ad 1 anno”.

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