Se il capo impone di andare in trasferta di lavoro, i lavoratori possono dirgli di no?
Ci si può rifiutare di andare in trasferta di lavoro?
Innanzitutto, si parla di trasferta di lavoro (o missione) se il lavoratore è inviato solo temporaneamente in altro luogo.
Alla trasferta non si applica la regola di necessaria giustificazione sancita per il trasferimento sicché la stessa può essere attaccata dal lavoratore solo comprovandone il motivo illecito (art. 1345 c.c.) o la natura discriminatoria (art. 15 Stat. Lav.) o fraudolenta (art.1344 c.c.) in quanto diretta a realizzare un trasferimento ingiustificato o senza il dovuto preavviso.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 2086 c.c. e 2104 c.c. l’imprenditore può imporre norme interne di regolamentazione dell’organizzazione tecnica e disciplinare del lavoro nell’impresa in maniera unilaterale, con efficacia vincolante per i prestatori di lavoro. Tale potere, però, non deve degenerare in arbitrio: in sostanza, il datore di lavoro non può impartire disposizioni che risultino prive di fondamento logico o del tutto avulse delle ragioni attinenti all’organizzazione, alla disciplina e all’attività produttiva, arrecando ingiustificato disagio ai lavoratori.
Qualora un ordine di tal genere sia impartito, l’inottemperanza del lavoratore trova giustificazione alla luce dell’art. 1460 c.c. mentre il licenziamento motivato alla stregua di detto rifiuto deve ritenersi illegittimo.
Non è, quindi, sempre ingiustificato il rifiuto di un lavoratore a recarsi in trasferta: occorrerà , però, verificare di volta in volta se sussistono dei validi motivi e ricorrere al Giudice per veder sovvertito l’ordine datoriale.
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