In merito all’uso dei permessi di lavoro segue una sentenza della Corte di Cassazione.
L’art. 33, comma 3, L. n.104/1992, come sostituito dalla L. n.183/2010, anche a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs n.119/2011, dispone che “a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente”.
I Giudici della Suprema Corte hanno recentemente affrontato la questione dell’assistenza al parente disabile non in coincidenza temporale alla fruizione dei permessi.
Secondo la Corte (Cass. n. 17968/2016), il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile “è riconosciuto dal legislatore in ragione dell’assistenza, la quale è causa del riconoscimento del permesso”.
Pertanto, “l’assenza del lavoratore per la fruizione del permesso di lavoro deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile”.
Ed ancora, “i permessi devono essere fruiti, dunque, in coerenza con la loro funzione. In difetto di tale nesso causale diretto tra assenza dal lavoro e prestazione di assistenza, devono ritenersi violati i principi di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente Assicurativo”.
Con la sentenza in oggetto, la Corte ha enunciato il principio di diritto secondo cui “in tema di esercizio del diritto ex art. 33, comma 3, L. n.104/1992, la fruizione del permesso da parte del dipendente deve porsi in nesso causale diretto con lo svolgimento di un’attività identificabile come prestazione di assistenza in favore del disabile per il quale il beneficio è riconosciuto, in quanto la tutela offerta dalla norma non ha funzione meramente compensativa e/o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per un’assistenza comunque prestata. L’uso improprio del permesso può integrare, secondo le circostanze del caso, una grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul dipendente, idonea a giustificare anche la sanzione espulsiva”.
In conclusione, occorre prestare attenzione alle modalità di fruizione dei permessi, in quanto il fruire di tali permessi per finalità diverse dall’assistenza al familiare può legittimare il licenziamento comminato al dipendente da parte del datore di lavoro.
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