Va mantenuta l’ex moglie che vive in luogo ad alto tasso di disoccupazione

Per la Corte di Cassazione è rilevante, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dell’ex convivente, il contesto lavorativo in cui questi deve inserirsi, in special modo se non ha mai svolto alcuna mansione nella vita. La Cassazione ha confermato che va mantenuta l’ex moglie che abita in un luogo ad alto tasso di disoccupazione, dove trovare lavoro è molto difficile.

Va mantenuta l’ex moglie che non trova lavoro?

Il caso nasce quando il Tribunale di Crotone pronuncia la separazione dei coniugi revocando sia il contributo al mantenimento a carico del marito a favore della moglie e dei due figli, ormai maggiorenni, che l’assegnazione della casa coniugale.

La moglie decide allora di proporre ricorso in Appello, accolto dalla Corte territoriale, la quale impone a carico dell’ex marito il pagamento della somma mensile di 150,000 euro a titolo di mantenimento. La decisione si basa sul fatto che per la ricorrente è difficile trovare un impiego perché non ha mai lavorato, essendo priva di titoli di studi, e, considerati i suoi 48 anni, per i giudici ha diritto al mantenimento perché “la condizione economica complessiva dell’appellato è migliore”.

Il marito decide allora di fare ricorso in Cassazione lamentando la mancata esistenza per l’ex moglie del diritto a ricevere il mantenimento, senza una prova della sua effettiva impossibilità a procurarsi i mezzi adeguati per vivere autonomamente. In sostanza, l’opposizione è che la donna non trova un lavoro stabile perché non lo cerca.

La giurisprudenza della Cassazione sull’attitudine al lavoro

La Corte ricorda come, in tema di separazione personale dei coniugi, “l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retributiva, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale” (Cass.n.5817/18).

Sul tema della possibilità di lavorare o meno da parte del coniuge che richiede il mantenimento, i giudici ribadiscono anche che, secondo una recente sentenza della Cassazione (n.20866/2021), spetta al “richiedente dell’assegno di mantenimento, dove risulti accertata la sua capacità di lavorare, l’onere di dimostrare di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un’occupazione retributiva conforme alle proprie abitudini professionali”.

Infine, per dare un quadro giurisprudenziale completo, i giudici ricordano anche la sentenza della Corte (Cass n.24049/21) nella quale si stabilisce che “l’attitudine al lavoro quale potenziale capacità di guadagno costituisce un elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, dovendosi verificare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di un’attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche”.

Rileva l’alto tasso di disoccupazione

Enunciati i principi fondamentali sul tema della capacità del coniuge che richiede il mantenimento di lavorare o meno, la Corte torna a parlare del caso concreto. Dopo aver escluso per mancanza di elementi probatori la considerazione del fatto che l’ex moglie lavorasse in nero e convivesse con un’altra persona , i giudici di legittimità escludono anche che la donna abbia una concreta possibilità di “reperire occasioni di lavoro” sulla base di una serie di fattori che non le consentirebbero di trovare una posizione stabile, quale la sua età e l’inesperienza lavorativa. Particolare rilevanza viene poi data alla “notoria situazione del mercato del lavoro caratterizzata da un’elevata percentuale di disoccupati e dalla larga diffusione del precariato negli impieghi”. Per la Cassazione, dunque, è rilevante ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento  anche la critica situazione del mondo di lavoro in cui la beneficiaria del mantenimento deve immettersi senza avere alcuna esperienza.

La Corte, conferma la decisione di secondo grado di ritenere assolto l’onere della prova in capo all’ex moglie di provare la sussistenza di una situazione di concreta impossibilità a svolgere una qualsiasi attività lavorativa regolarmente retribuita, alla luce dei vari elementi acquisiti.

Infine, per la Cassazione è inammissibile la questione, presentata per la prima volta nel ricorso, che la ex moglie “potesse aver diritto al reddito di cittadinanza quale elemento preclusivo dell’assegno di mantenimento” essendo una elemento nuovo non valutabile nel merito in questa sede.

Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso dell’ex marito e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.

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